"Chi si ispira al pensiero cristiano ha sempre chiara davanti a sé la natura puramente strumentale della politica e dell'economia. Organizzazione economica e organizzazione politica raggiungono il proprio fine quando creano le condizioni perché l'uomo sia se stesso e possa attuare il proprio destino di perfezione in piena responsabilità e libertà". A mezzo secolo dalla morte, avvenuta il 16 febbraio 1956 sui banchi del Senato, la figura di Ezio Vanoni mostra i tratti di una originale sintesi tra fede e ragione, tra scienza economica e attività di governo, che ne caratterizzò l'esistenza e l'impegno pubblico.
Per Giovanni Marcora, giovane democristiano lombardo quando Vanoni era da tempo alle massime responsabilità ministeriali, il politico valtellinese ha sempre rappresentato un esempio, un punto di riferimento politico. Marcora aveva particolarmente a cuore l'idea di giustizia sociale che muoveva Vanoni, e condivideva totalmente la sua insistenza sulla necessaria programmazione economica. E, come Vanoni, Marcora - divenuto a sua volta ministro, prima dell'Agricoltura e poi dell'Industria - amava l'economia "reale", la capacità di produrre ricchezza mediante il lavoro, i macchinari, gli investimenti, la fatica… E poneva l'accento sulla necessità di avere "conti pubblici in regola", altro tema vanoniano.
Vanoni è stato ricordato a Sondrio (febbraio 2006), con un convegno promosso nel cinquantesimo della scomparsa, cui sono intervenuti il senatore a vita Giulio Andreotti, lo storico Guglielmo Scaramellini e il giornalista Guido Vigna. Dalle relazioni sono emersi i tratti di un personaggio ricco di umanità, segnato da una religiosità semplice e profonda, ma anche gli elementi cardine del suo pensiero scientifico e dell'azione politica, che portò il politico valtellinese a guidare tutti i dicasteri economici nell'Italia della ricostruzione post-bellica, accanto all'allora presidente del Consiglio Alcide De Gasperi.
Vanoni nasce a Morbegno nel 1903; dopo gli studi superiori, frequenta la facoltà di Giurisprudenza di Pavia. Allievo di Benvenuto Griziotti, viene da questi condotto a una formazione interdisciplinare che spazia dall'economia al diritto, alla finanza pubblica. Negli anni del collegio Ghislieri diviene uno dei leader dei giovani socialisti e, per questo, tenuto sotto controllo dal regime fascista. Dopo la laurea, perfeziona la sua preparazione presso l'Università Cattolica di Milano; qui matura una più compiuta posizione ideale e politica ed è questo il periodo della sua piena adesione al cattolicesimo. Agli anni '30 risalgono i suoi più noti contributi scientifici, fra cui "Natura e interpretazione delle leggi tributarie", che gli valgono la libera docenza in "Scienza delle finanze". Ottenuta la cattedra a Roma, stringe legami con Sergio Paronetto, Guido Gonella, Pasquale Saraceno, Alcide De Gasperi. Nel 1943 è tra gli artefici del Codice di Camaldoli, organico contributo del pensiero sociale cattolico per la ricostruzione del paese una volta terminata la guerra.
Nel dopoguerra è eletto prima alla Costituente, poi senatore per la Democrazia cristiana nel 1948 e nel 1953; ricopre vari incarichi ministeriali, guidando il commercio estero, le finanze, il tesoro e il bilancio. Al dicastero delle finanze avvia un profondo rinnovamento del sistema tributario, che sfocia nella cosiddetta "riforma Vanoni" del 1951, fondata sulla progressività della tassazione, su un riordino dell'imposizione indiretta che esclude i beni di prima necessità e sulla dichiarazione dei redditi da parte del contribuente. Dal 1954 elabora lo "Schema di sviluppo dell'occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-64". Il documento si prefigge: la piena occupazione, con la creazione di quattro milioni di posti di lavoro; la riduzione del divario Nord-Sud; il pareggio della bilancia dei pagamenti. Scomparso il "padre" dello Schema e mutato in senso favorevole il quadro nazionale, trascinato dal "boom" degli anni '50, il "piano Vanoni" sarà accantonato, pur rimanendo il più lucido tentativo di programmazione economica nazionale.
Vanoni sottolinea spesso nella sua attività di studioso e di uomo di governo il "dovere civico" del "pagare le tasse", quale impegno costruttivo, commisurato al reddito, per il bene comune. Allo stesso tempo, il professore "prestato alla politica" insiste sulla opportunità dell'intervento statale nell'economia quale elemento "correttivo" e "riequilibratore", operando per sanare le situazioni monopolistiche, per creare infrastrutture necessarie al sistema produttivo e attraverso l'attività finanziaria, così da "ridurre le disuguaglianze nella ripartizione della ricchezza" e favorendo "le migliori condizioni per l'occupazione e l'incremento del salario". La "terza via" tra liberismo e collettivismo prefigurata da Vanoni (anche con alcuni scritti degli anni '40, come "La nostra via" e "La finanza e la giustizia sociale"), incontrò l'attenzione di personaggi come Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giuseppe Dossetti e lo stesso De Gasperi, guadagnandosi la stima del mondo imprenditoriale e sindacale dell'epoca.
Rigoroso nel lavoro, sobrio nei comportamenti, egli rimane una figura esemplare di servizio del laico cristiano in campo politico. Negli anni concitati dell'azione di governo affermava: "Le vie per la liberazione dell'individuo dalla miseria […] sono di tempo in tempo diverse. Ma il fine di ogni azione nella società resta per noi immutabile: fare in modo che ogni uomo possa liberamente tendere a realizzare la pienezza di vita che risponde alla sua natura e alla chiamata divina, che lo sospinge".
Ezio Vanoni , valtellinese di Morbegno, classe 1903 è stato un politico approdato all’impegno pubblico attraverso una carriera tecnica ambiziosa e di successo, da professore universitario di diritto internazionale e fiscale ,docente prima alla Cà Foscari di Venezia e poi all’università di Roma dal 1933 al ’36, nonché titolare di un avviato studio di diritto e fiscale a Milano con clienti della grande imprenditoria lombarda.
Per arrivare alla cattedra aveva dovuto iscriversi al partito fascista, non senza titubanze e rimorsi postumi, perché di formazione più vicina agli ideali socialisti e poi cattolici.
Nel periodo romano entra in contatto attraverso l’amico Sergio Paronetto con i personaggi degli ex popolari (De Gasperi, Gonella) che traguardavano la nascente Democrazia Cristiana .
Infatti, dopo la caduta del fascismo del luglio 43, per una maturazione interiore e sulla scorta delle parole di PIO XII nel messaggio di Natale, da cristiano tiepido si restituì alla fede e si diede ad operare per il bene comune al servizio del paese ,come teorizzò nel Codice di Camaldoli.
Gli anni del suo impegno politico nelle file della Democrazia Cristiana sono fecondi: la legge tributaria del 1951 rivoluziona il sistema fiscale con la Denuncia dei Redditi (passata alla storia come “la Vanoni”), la nascita dell’ENI, la costituzione delle partecipazioni statali, il primo tentativo di programmazione economica.
Vanoni nella sua quasi decennale milizia politica è stato portatore di un grande disegno riformista nella contorta realtà del primo dopoguerra, proposto in alternativa alle ideologie dominanti, il liberismo ed il marxismo.
Sergio Paronetto è tra i leader della Fuci e protagonista importante della prima IRI, dove da responsabile dell’ufficio studi, riuscì a farne uno straordinario laboratorio di idee e di teoria di politica economica .Cui ispirarono i più originali interpreti della prima generazione democristiana e non solo, a cominciare appunto da Vanoni che nell’esperienza dell’IRI scoprì la strada che lo porto a definire il progetto della cosiddetta economia mista.
Ezio Vanoni è stato consegnato alla storia dell’Italia repubblicana come il ministro che cercò di cambiare il sistema tributario e come il primo propositore della indispensabilità di una politica di programmazione. Ma in realtà Vanoni cercò di attuare quanto aveva teorizzato: la giustizia sociale.
Riferendosi ai contenuti sociali della Rerum Novarum e della Quadragesimo anno riteneva che si potesse arrivare alla giustizia sociale realizzando una economia mista,percorrendo una terza via, intermedia tra il collettivismo e il liberismo, attribuendo allo Stato un ruolo di soggetto economico in una economia di mercato ,facendo della programmazione una guida politica e del tributo uno strumento di redistribuzione della ricchezza (teorie che trovano la più alta espressione nel Codice di Camaldoli).
Il documento del convegno che si tenne dal 18 al 23 luglio a Camaldoli era stato concepito come l’espressione di un grande coro coinvolgendo le diverse sensibilità, chiamate a lavorare su settantasei enunciati, in stretta consonanza con il Vaticano.
Il testo finì per essere l’espressione e la sintesi delle idee di quattro persone: Sergio Paronetto, Ezio Vanoni, Pasquale Saraceno, Giuseppe Capograssi. I primi tre tutti valtellinesi, il quarto abruzzese di Sulmona. Il codice fu scritto tra il settembre ’43 e la primavera del ’44 e la pubblicazione avvenne dell’aprile del ’45.
Documento affascinante e appassionato è un testo fondamentale per i cattolici impegnati in politica e nel sociale ed ha influenzato non poco la Costituzione e i primi programmi della Democrazia Cristiana.
Gli obiettivi della giustizia sociale si possono avvicinare solo con la terza via, economia mista di mercato.
Nell’economia libera, partendosi da uno squilibrio storico di forze, l’azione incontrollata di esse non può che portare al perpetuarsi e all’accrescersi dello squilibrio.
Nell’economia socialista il potere politico ed il potere economico sono attribuiti allo stesso organo e agli stessi uomini, portando alla soppressione delle libertà individuali.
Il migliore dei sistemi possibili è quello di una organizzazione intermedia tra questi schemi.
Un altro strumento capace di incidere sul mercato è la proprietà pubblica dei mezzi di produzione che non presuppone che questa porti sempre all’esercizio monopolistico e diretto di una attività da parte dello Stato con sole imprese pubbliche ma anche con imprese a capitale misto e magari aperte ai piccoli risparmiatori.
Vanoni cercò di insinuare le sue idee dovunque fosse possibile. Lo fece nella Democrazia Cristiana, dove fu subito chiamato nel Consiglio Nazionale e poi nella Direzione. Membro dell’Assemblea Costituente, nel luglio 46 entrò nella Commissione dei Settantacinque per la stesura della carta costituzionale.
AL governo cercò di realizzare ciò che aveva teorizzato. Fu ministro dal febbraio al maggio 1947 e poi dal maggio 1948 ininterrottamente fino alla morte nel febbraio 1956.
Vanoni in questi anni si incamminò lungo la strada che nei suoi progetti doveva portare alla giustizia sociale; la riforma tributaria, la nascita dell’ENI e del sistema delle partecipazioni statali, un piano di sviluppo.
Nacque anche, col suo apporto, la Cassa per il mezzogiorno, espressione di un meridionalismo non ingessato nei discorsi.
Per Vanoni non poteva esistere giustizia sociale senza giustizia fiscale. Sapeva che gli Italiani non riuscivano ad identificarsi con lo stato, sicché la più grande rivoluzione doveva essere una rivoluzione morale, perché prima di incidere sull’ordinamento legislativo bisognava incidere sulle coscienze. La Legge Vanoni, emanata l’11 gennaio ’51, la nr 25 da ministro delle Finanze, faceva perno su una dichiarazione unica annuale dei redditi e sulla revisione delle aliquote e dei minimi imponibili.
Con la dichiarazione dei redditi era il contribuente che si raccontava e le sue dichiarazioni facevano testo sino a prova contraria. Addirittura, nelle dichiarazioni a Montecitorio, Vanoni ipotizzava che avrebbe dovuto diventare possibile un’audacia come quella di dire al contribuente:” mandami l’assegno insieme alla tua dichiarazione”.
L’ENI nacque con la legge nr 136 del 10 febbraio 1953, raggruppando le quote di controllo di alcune società, tra le quali l’Agip, la Snam, l’Anic realtà che erano in crisi e avrebbero dovuto essere smantellate.
L’Eni nacque per una precisa scelta politica; si nazionalizzava un settore chiave della produzione e lo si faceva dopo aver vinto l’opposizione durissima, senza esclusione di colpi del grande capitale, italiano e straniero.
L’inventore dell’Eni fu Vanoni: non soltanto il decreto legge fu preparato dal ministero delle Finanze ma la sua fu una scelta soprattutto politica, realizzando quanto sostenuto nei suoi studi assegnando un protagonismo all’intervento pubblico al fine di raggiungere la giustizia sociale. L’intervento dello Stato e degli altri enti pubblici è inteso come mezzo per promuovere il bene comune nell’armonia degli sforzi.
L’alternativa non era tra iniziativa privata e monopolio pubblico, quanto piuttosto tra monopolio privato e monopolio pubblico.
Lo scopo fu raggiunto attraverso il potenziamento dell’Agip invocato da Mattei, commissario straordinario, che anziché procedere alla svendita dell’ente ne progettò e realizzò un’espansione, trascinando dalla sua un De Gasperi recalcitrante.
Nel quinquennio tra il 1948 e il 1953 si susseguirono solo tre governi, tutti guidati da De Gasperi e con Vanoni sempre ministro. Ma in tutto questo lasso di tempo era debole la prospettiva per il futuro e Vanoni propose la cosiddetta politica di programmazione.
La bozza fu stesa allo Svimez, associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno, di cui era segretario generale Pasquale Saraceno, suo cognato. I due avevano totale identità di idee sulla necessità di una politica di programmazione.
Nello schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-1964, si impostava un modello macroeconomico che si allungava per dieci anni, indicava obiettivi, condizioni, strumenti che l’Italia si proponeva.
Approvato dal Consiglio dei ministri alla fine del 1954, fu presentato all’OCSE (Organizzazione economica della Comunità Europea) il 14 gennaio ’55.L’Europa lo accettò, ma come disse poi Lombardini “divenne documento di governo, ma la politica governativa non fu orientata alla sua realizzazione”. L’Italia nei fatti lo respinse.
Vanoni non ebbe modo di battersi per un esito diverso.
Morì poco più di un anno dopo, alla fine di un discorso in Senato, il 16 febbraio 1956, essendosi innescato il meccanismo fondamentale alla base della sua visione politica, quello di realizzare l’inserzione delle masse cattoliche nello Stato democratico.
Fu un grande democristiano, anche se la DC fu il suo strumento e il suo limite, il suo piedestallo e la sua tortura. Vanoni fu nella DC un’eccellenza, uomo solo, non isolato. Molto stimato e sostenuto dalla sinistra di Base ( soprattutto i milanesi Ripamonti, Marcora, Granelli ) che aveva capito ed abbracciato fin dagli inizi le sue tesi, per la stessa tensione morale di attuare l’inserzione delle masse cattoliche ( e non solo) nello stato democratico.
Vanoni si sentiva e fu al servizio dello Stato. Molti di quelli che vennero dopo di lui si servirono dello stato.
E secondo il Washington Post “Vanoni era in maggior misura di qualsiasi altro uomo politico, vicino ad essere indispensabile ed insostituibile”.