LE TRIBU' SPARSE

LA SINISTRA DI BASE IN FRIULI Autunno 2019

La “Sinistra di base” in Friuli si forma attorno all’anno 1955 e gli aderenti sono tutti appartenenti alla terza generazione democristiana, formatasi nell’Azione Cattolica, in quanto troppo giovani per aver partecipato alla costituzione del partito nell’immediato dopoguerra. In quel periodo la DC locale era ,infatti, ancora dominata dai vecchi popolari(Candolini,Tessitori,Fantoni,Pelizzo, Barbina, etc) cui si erano aggiunti alcuni esponenti dei CNL ( Berzanti,Cadetto etc.).


La corrente nasce per dare spazio alle aspirazioni di partecipazione da parte di una ventina di giovani laureati che condividono la prima esperienza politica nei consigli comunali,il provenire da paesi di periferia e da condizioni familiari modeste e sono tendenzialmente innovativi rispetto a quanti governano. Sono Lino Comand ( 1925 avvocato Mortegliano) Vinicio Turello (1930 avvocato Bicinicco ), Alfeo Mizzau (1925 commercialista Beano) ,Giovanni Fabris (1932 commercialista Basiliano),Titta Metus di Majano,Luigino Moretti di Codroipo ed altri che sono entrati nelle amministrazioni locali eletti nelle liste dello Scudo crociato.
Verosimilmente i contatti con la Base nazionale non avvengono con il gruppo lombardo (Marcora),ma attraverso alcune conoscenze personali che conducono a Ciriaco De Mita e attraverso la sua mediazione a Fiorentino Sullo. Altri contatti avvengono con Nicola Pistelli del gruppo fiorentino ,il cui periodico “Politica” costituisce la principale lettura ispiratrice del gruppo.. Altre corrispondenze avvengono nell’ambito di convegni ed incontri,in particolare del Movimento giovanile. Non risulta poi che siano stati allacciati legami con i veneti Wladimiro Dorigo e Dino De Poli.
Il canale di finanziamento della corrente che altrove fa capo a Mattei non si riscontra nel caso friulano. I fiduciari del Presidente dell’Eni in Friuli infatti sono don Ascanio De Luca e Manlio Cencig ,i due già comandanti delle formazioni partigiane Osoppo-Friuli che sono del tutto estranei alla DC locale. Forse per questo motivo la corrente non ebbe negli anni il successo che i suoi aderenti si attendevano mancando i collegamenti (soprattutto dopo le vicende di Sullo) ed i finanziamenti nazionali.
A Gorizia ,invece,con Gino Cocianni la Base riesce ad entrare nella maggioranza e sarà sede anche del convegno correntizio del 1969. Agli inizi degli anni Sessanta i basisti friulani sono entusiasti del modello kennediano per cui nel 1962 Turello e Fabris partono per l’America per incontrare il loro mito e vengono ricevuti da Robert Kennedy. E’ tanta l’emozione che riportano a casa che tuttora Fabris è conosciuto per John piuttosto che per Giovanni.
Il panorama correntizio della DC friulana a partire dalla caduta del primo governo Fanfani vede dominare il campo da due grosse formazioni che più o meno si equivalgono in fatto di consistenza. Da un lato abbiamo coloro che si definiscono “morotei” poiché in sede nazionale aderiscono alla corrente di Moro,ma in realtà conducono una politica locale tipicamente dorotea e conservatrice. Dall’altro lato vi è la sinistra sociale di Forze Nuove anch’essa conservatrice localmente . Le piccole correnti come la Base hanno spazio solo quando servono all’una o all’altra per raggiungere la maggioranza. Poi, però ,morotei e forzanovisti sceglieranno di trattare fra loro organigrammi e divisione dei poteri escludendo dai patti tutti gli altri. Il che provoca l’esodo dalla Base verso le formazioni dominanti. Vinicio Turello passerà a Forze nuove e sarà presidente della Provincia e della Regione. Alfeo Mizzau passa ai dorotei e diventerà assessore regionale e deputato europeo,ma rimarrà legato affettivamente alla Base intitolando la sua casa editrice,tuttora esistente “ la nuova Base”.Giovanni Fabris diventa esponente della corrente andreottiana ed assessore a Udine. Titta Metus aderisce ai morotei e sarà assessore provinciale e consigliere regionale.

Legato alla Base rimarrà solo Lino Comand con pochi seguaci,ma,nel 1965,ha l’opportunità di contare di più nel partito con l’elezione s segretario politico provinciale di Udine. La sua personalità e le sue scelte politiche ispirate all’elaborazione culturale della Base ben presto non gli consentiranno di proseguire . Tradizionalmente,infatti,i segretari provinciali del partito venivano inseriti nella liste per il Parlamento,ma la lista del 1968 della DC nel collegio di Udine e Belluno ha un candidato in meno. Comand quindi darà le dimissioni anche in seguito a nuovi patti fra le due correnti maggiori.

Comand continuerà a cercare di valorizzare il suo ridotto seguito sia nei congressi con quanto può influire sulle preferenze,sia nelle elezioni determinando talora la vittoria inaspettata di un candidato piuttosto che di un altro. Nel 1975 è eletto nel Consiglio nazionale DC con la Base ed è anche l’anno in cui entra in Consiglio comunale a Udine,diventa capogruppo DC e sarà protagonista di memorabili “duelli” oratori con il Sindaco Candolini. Già negli anni Settanta però la corrente vede l’allentamento della sua organizzazione e praticamente si estingue ben prima che Comand lasci la politica attiva per guidare alcune realtà importanti come il Consorzio Universitario e dedicarsi alla professione. Negli anni Ottanta esponenti nazionali già appartenenti alla Base,come Goria e De Mita diverranno interlocutori principali dell’azione politica di Adriano Biasutti che,lasciando Forze Nuove,crea una nuova vasta area a supporto della sua ascesa al vertice della Regione Friuli Venezia Giulia . Da tempo però quanti appartenevano alla corrente in sede locale non sono più attivi in politica e nel partito.
Roberto Tirelli


BRIANZA & DC

di Ezio Cartotto

Il volumetto è uno scorrevole condensato della storia della DC brianzola attraverso le figure dei suoi personaggi eminenti, racconto di alcuni aspetti dell’esperienza storico culturale dei cattolici e della Democrazia Cristiana in Lombardia e Brianza. Dedicato a Filippo Meda, fondatore de Il Cittadino di Monza e Brianza, primo deputato cattolico al parlamento italiano, ministro delle Finanze durante la prima guerra mondiale e a Giovanni Marcora protagonista della Resistenza come importante esponente dei partigiani bianchi, grande ministro dell’Agricoltura e punto di riferimento politico per la crescita della Brianza monzese, lecchese e comasca.


Cap 1 La Brianza ed il suo territorio tra geografia, storia e politica Filippo Meda fu uno dei pochi candidati che osò presentarsi per le elezioni del 1914 (quelle del Patto Gentiloni) pur essendo di matrice cattolica. A chi lo criticava rispondeva :” io non sono un cattolico deputato, sono un deputato cattolico”.
Tra i partecipanti alle attività del Partito Popolare si distinse fin dal 1900 un grande sacerdote monzese, don Luigi Talamoni ,che insegno al collegio San Carlo(insegnante di Storia e di Lettere) ed ebbe tra i suoi allievi il futuro papa PIO XI ,Achille Ratti. Mons.Talamoni collaborò alla crescita politica di Filippo Meda ed altri esponenti brianzoli, come Angelo Mauri ed Achille Grandi. Al congresso nazionale del Partito Popolare tenutosi a Bologna nel 1919 molto rilievo ebbe la sua relazione sul riconoscimento giuridico dei sindacati, dove non si mirava allo scontro di classe ma alla collaborazione tra lavoratori e datori di lavoro. Achille Grandi sarà l’anima delle ACLI ,Associazione Cristiana Lavoratori Cattolici(cui succederà poi Vittorino Colombo di Albiate che guiderà anche altri movimenti politici legati al mondo sindacale cattolico). Nel tempo stava anche nascendo una forza di sinistra cattolica, rappresentata da Guido Miglioli nel Cremonese e anche nella Brianza. Nelle lotte continue di quel periodo la Brianza si schierò con le organizzazioni bianche fin dal 1919.
Con le elezioni amministrative del maggio 1921 il Partito Popolare ebbe a Monza un grande successo eleggendo in Consiglio Comunale uomini di spessore come Achille Grandi, Luigi Meda, Tarcisio Longoni ed altri, i De Capitani e i Villani, esponenti di famigli importanti di Monza.

Cap 2 La nascita della Democrazia Cristiana e il suo sviluppo in Brianza Nel 1942 De Gasperi ebbe un incontro a Selva di Valsugana con il movimento dei neoguelfi di Piero Malvestiti; in tale occasione si decise di dar vita ad un movimento politico nuovo col nome di Democrazia Cristiana (nome inventato da don Romolo Murri ai tempi della battaglia contro il modernismo, movimento contestato dal Vaticano). Riprendendo questo nome De Gasperi voleva sottolineare che sarebbe stato rappresentativo di tutti i cattolici uniti da un programma comune. Nel 1954 con la vittoria di Fanfani il mondo cattolico brianzolo aveva come riferimento Cornaggia Medici, Enrico Falck(Sesto e Lecco),Vincenzo Sangalli di Brugherio poi segretario provinciale DC e parlamentare, sottosegretario e presidente CCIA Milano.
Ed anche più avanti Edoardo Teruzzi ,suo amico e collaboratore ed il giovane Mario Vaghi sindaco di Cesano Maderno, nel ’68 deputato.
Anche la Base prosperava in Brianza: a Lecco con Cesare Golfari, a Como con Giuseppe Guzzetti, a Varese con Aristide Marchetti.


Cap 3 Correnti visioni e problemi della Democrazia Cristiana
Nelle elezioni del 1953 la DC sfiorò la maggioranza col 49,2% dei suffragi , ma la “legge truffa “ non passò e dopo la stagione degasperiana prese sempre più consistenza la corrente di Nuove Cronache, fanfaniana-dorotea. Su alcuni punti, come l’intervento dello Stato nell’economia, c’erano affinità con la Base ,ma non molti altri ,mentre la visione europeista delle varie correnti DC era sufficientemente omogenea ed in linea con le posizioni impostate da De Gasperi. Grandi avvenimenti furono l’autunno caldo del 1969 e nel 1970 l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori.

Cap 4 Il populismo DC il conflitto nel partito la mafia al nord
Mussolini:” noi sappiamo di essere una minoranza, ma sappiamo anche di essere la maggioranza di coloro che partecipano”. Ciò implica che un gruppo ristretto di persone ,può senza alcun controllo, esercitare tutto il potere in quanto si considera rappresentante del popolo (definizione di populismo).
Anche in Brianza c ‘era la sinistra DC che si suddivideva in corrente di Base e sinistra sociale che faceva riferimento alle ACLI e alla CISL, alle posizione di Achille Grandi, Giulio Pastore e poi Donat Cattin e Vittorino Colombo.
Il partito attraverso le sezioni e i comitati comunali, provinciali su su fino al nazionale selezionava la classe dirigente, che immetteva nelle amministrazioni e i parlamento. Dava anche indicazioni che riguardavano i consigli di amministrazione degli organi di governo di municipalizzate e nazionalizzate (ENI IRI POSTE AUTOSTRADE RAI..)Si impose uno schema di partito pesante di stampo fanfaniano. In seguito l’invadenza delle correnti portò alla degenerazione del sistema.
Nel frattempo i capì mafiosi confinati al Nord riuscirono a farvi trasferire molte persone legate alla malavita. Tra gli anni 70 e 80 ci furono molti sequestri con riscatti fonte di finanziamento per la mafia. Contro questo degenerazione cui fu un sollevamento dei sindaci democristiani che si collegarono a Marcora e all’onorevole Dante Orsenigo, ai consiglieri regionali Sergio Cazzaniga e Giuseppe Giovenzana e con un grande impegno delle forze dell’ordine,prmessa dal ministro degli Interni Taviani, il fenomeno cessò. Ma la mafia ormai si era insediata anche in Brianza.

Cap 5 La Balena Bianca : da Marcora a Comunione e Liberazione
Marcora arriva in Brianza tramite personaggi già emersi sul territorio, come Dante Orsenigo sindaco di Carate, segretario di zona e futuro parlamentare, Vigilio Sironi di Monza, Gianfranco Finco di Limbiate e Gianni Locatelli di Desio, futuro direttore de Il Sole 24 Ore . Poco dopo la schiera dei giovani emergenti: Gianni Dell’Orto a Seregno ,Domenico Riva a Desio, Alberto Varisco di Nova Milanese e Sergio Cazzaniga di Cesano Maderno.
Il gruppo crebbe fino ad espropriare uno dei bastioni della corrente dorotea retta da Mario Vaghi (Vaghi che fu eletto deputato nel 1968 soffiando per pochi voti il posto al basista Siro Brondoni). Altri giovani ebbero importanza per la DC brianzola: Giuseppe Giovenzana ,sindaco di Besana e poi presidente della Regione, Francesco Rivolta, sindaco di Macherio e poi assessore regionale, Tiziano Garbo di Desio ghost writer al ministero di Marcora, Giuseppe Valtorta già sindaco di Desio e segretario nazionale dell’ANCI, Rossella Panzeri ,già sindaco di Monza e poi anche Giampiero Corbetta, Gianfranco Matavelli e Franco Pizzagalli segretario zona di Carate.
Che sponsorizzò la candidatura di Walter Fontana nel collegio di Monza,(nella precedente tornata occupato da Felice Calcaterra) e che in seguito avrebbe dovuto essere appannaggio di Carlo Valli (in realtà non riuscì per il diminuito consenso generale alla DC) ,già presidente degli industriali brianzoli e promotore della battaglia per la provincia di Monza.( di cui diventerà primo presidente Gigi Ponti, già assessore provinciale di Milano).

Nel vimercatese un ruolo importante per la crescita della DC l’hanno assunto le donne: Maria Luisa Cassanmagnago e Maria Paola Colombo Svevo (eurodeputata ,assessore lombardo ai servizi sociali, senatore e poi parlamentare europeo).Ed anche Giuliana Ponti Cartotto subentrata a Cassanmagnago alla presidenza della delegazione delle donne democristiane in provincia di Milano.
Dante Orsenigo e Sergio Cazzaniga sono stati i due più popolari rappresentanti della militanza della Base in Brianza. Cazzaniga in regione ha lavorato al salvataggio di molti posti di lavoro nella crisi degli anni ’80 che ha segnato la fine del chimico tessile nel Cesanese (Snia Viscosa ,Acna Montedison..ecc sostituite da Basf e Bracco). Importanti e numerose presenze di democristiani milanesi e lombardi in ruoli chiave dell’economia, coordinati da una ledership forte e condivisa quale era quella di Marcora, diedero un contributo importante allo sviluppo economico sociale del paese e della Brianza. Quando vengono a mancare alcuni di questi personaggi (soprattutto Marcora e poi Vittorino Colombo) capaci di rappresentare le istanze popolari si affaccia nella storia brianzola Comunione e Liberazione( e in trasparenza si intravede anche la Lega).Movimento che avrà enorme sviluppo con Formigoni col Movimento Popolare che rimase una vera e propria corrente autonoma all’interno della DC.

Cap 6 La scomparsa dei grandi leader democristiani al Nord La scomparsa di Aldo Moro e Paolo VI furono un colpo mortale per la DC , aggravato poi dalla morte di Marcora, e dalla tragedia della diossina a Seveso: tutto precipitò in una situazione di sbandamento, che neanche l’impegno di Granelli riuscì a ricucire .L’essere insostituibile di Marcora influì sul destino della Base ,che in Lombardia espresse Martinazzoli ,da Marcora stesso definito ironicamente “ il cipresso di Brescia”. Martinazzoli, l’ultimo segretario nazionale della DC cercò di far confluire quello che era rimasto della DC in un nuovo partito ? PPI ? che però fu sconfessato dalla maggioranza degli elettori .e poi implose. Cossiga ,profeta quanto Moro, aveva detto che se “il muro di Berlino era caduto ad est, i calcinacci sarebbero caduti ad Ovest”. La vicenda della dell’ICMESA di Meda (e Seregno) segnò una svolta per il territorio: si organizzarono i movimenti ecologisti, proteste diffuse ma alla fine il problema fu risolto con una completa bonifica dalla diossina, anche grazie all’impegno del commissario sen Luigi Noè. Ci furono problemi di nascite premature e feti anormali: perfino l’assessore Vittorio Rivolta dovette fare una deroga relativamente all’aborto, allora vietato dalla legge.
Cap 7 Il declino della Democrazia Cristiana Fondamentale fui ruolo della magistratura nella tragedia finale della cosiddetta Prima Repubblica. I socialisti (Chiesa e poi Craxi) entrarono nel mirino della Magistratura, i insieme a DC e Repubblicani. Proprio un repubblicano, Mammi, fece approvare la nota legge omonima criticatissima che regolamentava le televisioni commerciali Anche la DC brianzola ebbe i suoi ghigliottinati: il segretario regionale Frigerio ,Bruno Tabacci e Gianni Dell’Orto(che riparò addirittura all’estero).Fu perseguitato e arrestato anche Roberto Mazzotta poi assolto con formula piena in Cassazione. Gli elettori DC si dispersero nel PDS poi PD, in Forza Italia e nella Lega. In realtà la DC è finita perché con la caduta del muro di Berlino sono venuti meno i presupposti geopolitici che l’hanno fatta nascere.
Conclusione : Quel che resta del giorno Anche se la Brianza oggi è cambiata, il modo di sentire umano rimane lo stesso, perché il DNA non è solo genetico ma anche culturale. Nella Brianza si è fatta la storia nel modo crociano:” la cronaca è storia morta, ma la storia è cronaca viva”. I brianzoli vedono nascere ogni giorno in un eterno presente Alessandro Manzoni, mons. Talamoni, Achille Grandi, Vittorino Colombo, Pio XI , Eugenio Corti e tutte le immense realtà che plasmano ancora il nostro tempo.

LA BASE IN CALABRIA

In Calabria la Base ha avuta una sua roccaforte grazie alla presenza di alcune figure di rilievo. Per primo Riccardo Misasi, personaggio di grande statura politica ed umana, più volte ministro, “dominus” della DC e della Base calabrese, legato da fraterna amicizia e reciproca stima al Albertino Marcora.
Su di lui occorre fare un discorso a parte.
Un altro personaggio di rilievo è stato Franco Locanto, cognato di Misasi, per aver sposato la sorella Gianna.
Franco Locanto era nato a Castrovillari nel 1934 si è spento giovanissimo nel 1974. Presidente diocesano di Azione Cattolica ,laureato in pedagogia all’Università di Palermo e docente all’università di Bari fu tra i più attivi protagonisti per la realizzazione dell’Università della Calabria avviata nel 1971.
La sua profonda formazione culturale era ispirata alle teorie del Codice di Camaldoli (Dossetti, Lazzati, La Pira) collegate alle tesi del personalismo comunitario di Mounier e all’umanesimo integrale di Maritain. Meridionalista convinto e generoso ,lavorò con l’assillo di aiutare gli altri a vedere (il futuro) con occhi nuovi.
Riusciva a trasmettere in maniera diretta, con un superiore senso dell’amicizia, una illimitata quanto generosa disponibilità. Nel ’72 col suo impegno raggiunse importanti traguardi, collaborando all’elezione di Pietro Rende in Parlamento.
Nella Democrazia Cristiana fu fondatore insieme a Misasi, Antonio Guarasci, Francesco Smurra, Mariano e Pietro Rende, Dario Fruscio, Enzo Missaggi della componente denominata Sinistra di base rappresentata a livello nazionale da De Mita, Marcora, Granelli, Rognoni.
Assessore ai Lavori Pubblici della provincia di Cosenza, fu capo della segreteria di Riccardo Misasi al ministero della Giustizia, del Commercio Estero e della Pubblica Istruzione. La sinistra di base trovò il suo massimo fulgore negli anni ottanta, quando riuscì ad essere maggioranza nella Democrazia Cristiana, con Ciriaco De Mita segretario del partito e presidente del Consiglio ed altri esponenti di spicco nel governo come Riccardo Misasi e Sergio Mattarella. In quegli anni il meridionalismo che era stato puramente teorizzato trovò il modo di affermarsi passando da una gestione dal mero orizzonte temporale ed emergenziale ad una visione politica, con l’istituzione di enti e di servizi che andavano a potenziare il tessuto culturale e sociale, in primis l’Università della Calabria (con Beniamino Andreatta primo rettore). Come pure col decollo di tutti quei soggetti economici, che grazie alle Partecipazioni Statali avviarono una nuova stagione economica creando occupazione e reddito.
Pietro Rende, classe 1938, consigliere regionale DC e deputato per tre legislature dal 1972 al 1983,laureato in Scienze Politiche ,funzionario pubblico è un altro elemento di spicco della compagine.
Grande lavoratore ha presentato 135 progetti di legge, tra cui una sul riordino delle ‘Amministrazione dello Stato e sulla fiscalizzazione degli oneri sociali alle imprese industriali operanti in Calabria.
E’ Stato membro della Commissione Parlamentare di controllo e programmazione e attuazione degli interventi nel mezzogiorno.
Altro caposaldo della Base era a Crotone il dr Giuseppe Gualtieri referente dell’on Misasi ,in contatto con un altro calabrese emigrato a Milano, Salvatore Franconieri. Anche il segretario regionale della DC era un basista –misasiano, il dr Mario Tassone .
Al gruppo unito riuscì abbastanza semplice far eleggere (1970) il prof Antonio Guarasci come primo presidente della Regione, dopo che era stato anche consigliere provinciale e poi presidente della provincia di Cosenza. Durante la sua presidenza vengono incentivate la politica a favore della scuola, della sanità locale e delle infrastrutture per far uscire molti territori da un forte isolamento interno e risolvere la questione meridionale. A livello culturale Guarasci contribuisce ad arricchire e rinnovare gli studi storici su don Cardona . Sacerdote carismatico(1871-1958) , emblema dei preti sociali calabresi ,ha fondato leghe contadine operaie e istituzioni economiche –casse rurali; ha dato vita al giornale La Voce cattolica , la Lega del Lavoro :un don Sturzo calabrese dalla personalità ricchissima in fase di beatificazione. L’ azione culturale di Guarasci raggiunge il proprio apice nell’istituzione dell’Università della Calabria nel 1973,processo iniziato fin dalla fine degli anni ‘60.
Come si vede, la Base in Calabria si afferma complessivamente come una presenza tutt’altro che trascurabile, ed anche in collegamento col lucano Angelo Sanza, un po’ di raccordo a quella ancor più numerosa della Campania con Sullo, Gerardo Bianco, De Mita.

LA BASE A BRESCIA

La Base ha avuto nel Bresciano uno dei suoi capisaldi più importanti, con uomini di grande spessore. Tra questi, Delfino Tinelli, Giulio Onofri, Vittorio Sora, Tarciso Gitti , Pietro Padula e Mino Martinazzoli.
Diamo qui una breve sintesi di questi personaggi, rimandando all’apposita voce su PROFILI e su PERSONAGGI del sito del Centro Studi Marcora(www.centrostudimarcora.it) per più approfonditi contenuti.
Delfino Tinelli, ha compiuto la completa carriera scolastica da maestro elementare a direttore didattico, ispettore scolastico per finire dirigente superiore del Ministero della Pubblica Istruzione. Tinelli ha scritto molti libri di pedagogia e didattica per maestri e professori, ultimamente ha pubblicato “Il Movimento Cattolico a Manerbio dall’Unità d’Italia al Fascismo” , con ampia sintesi del Movimento Cattolico a Brescia e “Gli Animali di Pinocchio e altre figure”, nuova analisi critica di Pinocchio, del Collodi.
Sul piano politico si è iscritto alla Democrazia Cristiana nel 1951, Delegato Provinciale dei Gruppi Giovanili della DC, è stato sindaco di Cigole e capo-gruppo consiliare della D.C. nel Comune di Manerbio, consigliere Provinciale per tre Amministrazioni con le Presidenze di Mino Martinazzoli, Ciso Gitti e Bruno Boni rivestendo anche, per tre anni, l’incarico di Assessore Provinciale all’Assistenza e all’Ospedale Psichiatrico Provinciale. Negli anni Cinquanta, con Piero Padula, Giulio Onofri, Vittorio Sora e altri amici ha dato vita alla corrente della DC bresciana denominata “Provincia Democratica”, poi confluita nella corrente nazionale che si chiamò Sinistra di Base.
Risulta tra i sottoscrittori di quello che è stato chiamato dalla stampa “Manifesto Zamagni”. Si dedica, fra altri studi, alla conoscenza di tutte le Encicliche Sociali.
Giulio Onofri, avvocato (Brescia ,1930-2000 ) formatosi nella GIAC negli anni ‘50-’60 dove è stato presidente diocesano, vi ha introdotto con misura e pacatezza la dimensione della sensibilità politica,maturata anche in contatto attraverso l’amico Sora con don Primo Mazzolari. Ha avuto un ruolo di primo piano nell’amministrazione delle istituzioni bresciane. Consigliere comunale nel 1960 e segretario provinciale della DC dal 1965 al 1969, è stato presidente degli Spedali Civili di Brescia dal 1977 al 1987, il più grande presidio ospedaliero dell’Italia settentrionale assieme al Niguarda di Milano e al Molinette di Torino. Ha scritto articoli e pubblicazioni sulla riforma della sanità e sui rapporti tra medicina, l’università e la ricerca. Faceva parte del “gruppo degli avvocati” che col loro impegno e i loro valori hanno caratterizzato la vita politica e sociale della Brescia della ricostruzione fino agli anni novanta (Martinazzoli, Padula, Gitti, Sora, Luigi Bazoli, e altri come Gianni Perfumi, Mario Cattaneo, Tino Bino, Sandro Bini, Innocenzo Gorlani).
Vittorio Sora(Quinzano d’Oglio1935, SanPaolo 1996) studia a Brescia e si laurea a Milano in Economia e Commercio alla Bocconi; lavora presso l’ufficio studi della Camera di Commercio. Si iscrive alla Democrazia Cristiana e dal 1954 al 1958 è dirigente nazionale del Movimento Giovanile. Dal 1957 viene eletto al Consiglio Nazionale della DC, come esponente della Base. Nel 1965 si trasferisce a Brescia dove viene eletto consigliere provinciale. Diventa vicesegretario regionale DC dal 1963 al 1967.
E’ consigliere della Regione Lombardia per quattro legislature: in questo nuovo ente locale, due volte svolge ruolo di assessore. Dal 1970 al 1975 sotto la presidenza di Piero Bassetti è assessore all’Industria, dal 1980 al 1985 è assessore al Bilancio. È attivo nella promozione culturale, ambientale e storica della sua terra. È relatore della legge istitutiva del Parco dell’Oglio. E’ presidente dell'Associazione degli Amici della Fondazione Civiltà Bresciana, della Bassa e del Parco dell’Oglio. Nel 1990 viene eletto sindaco di Quinzano d’Oglio. In questi anni è presidente dell'ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) della Lombardia. Nel 1994, dopo lo scioglimento della Democrazia Cristiana aderisce al nuovo Partito Popolare Italiano di Mino Martinazzoli. Tarciso (Ciso) Gitti (Gardone Val Trompia 1936,Brescia 2018)è stato politico e avvocato .Figlio del deputato DC Salvatore Angelo Gitti e padre di Gregorio Gitti ,già deputato alla Camera nella XVII legislatura .E’ stato presidente della provincia di Brescia dal 1972 al 1975,deputato per quattro legislature dall’ottava all’undicesima, sottosegretario al Tesoro dal 1987 al 1989 nei governi Goria e De Mita e vicepresidente della Camera dei Deputati dal 1992 al 1994.Ha fatto parte di diverse commissioni parlamentari ed è stato presidente del Copasir dal 1991 al 1992. Come il papà, aveva scelto la Democrazia Cristiana e delle sue varie espressioni privilegiò la cosiddetta corrente «basista», cioè quel gruppo che al dovere dell’appartenenza aggiungeva una visione sociale della politica. Allora la Dc era ancora il partito di maggioranza, prima e per molti anni «assoluta» poi sempre più «relativa», e le maggiori responsabilità istituzionali gravavano sulle sue spalle. Ciso Gitti si trovò a fianco di Mino Martinazzoli e con lui condivise la fatica di preparare il partito alle nuove sfide, quelle legate al rinnovamento della classe dirigente e quelle che dovevano supportare la nascita del centro-sinistra ipotizzato da Aldo Moro quale unico modo per dare stabilità ai governi nazionale e locali.
Pietro Padula(Brescia 1934 , Brescia 2009) , consegue la maturità classica al liceo Arnaldo di Brescia e si iscrive alla Università Statale di Milano alla facoltà di Giurisprudenza, quando già ventenne è impegnato in politica nel Movimento Giovanile DC prima a Brescia e poi a livello nazionale. Lo appassiona e preoccupa la stanchezza ideale della DC: dopo la morte di De Gasperi la fase di travaglio, con governi conservatori e di centro destra.
L’intensa dialettica tra i centristi e chi è incline all’apertura a sinistra coinvolge anche la periferia, i giovani in particolare.
Nel 1958 entra nell’esecutivo del Movimento giovanile e intesse relazioni particolare con i giovani della Base; Giovanni Marcora e Luigi Granelli, Nicola Pistelli, Ciriaco De Mita, Gerardo Bianco, Giuseppe Gargani; i veneti Antonio Dorigo e Vincenzo Gagliardi, e soprattutto il cuneese Guido Bodrato. Alle elezioni del novembre 1960, nel pieno del fulgore del sindaco Bruno Boni, gli si chiede di candidarsi alla Loggia, esordendo per la prima volta come consigliere comunale.
Ma già nel 1958 Piero è tra i promotori di una iniziativa in esplicita opposizione al sindaco e segretario provinciale, assieme a Vittorio Sora e Giulio Onofri, giovani come lui vicini all’esperienza milanese di Marcora e Granelli.
Entra a far parte del Comitato Provinciale nel ’62, per espressa volontà del segretario provinciale Boni, che vuole presenti anche le componenti a lui non favorevoli. Nello stesso anno viene eletto delegato con Gitti, Onofri e Sora allo VIII congresso nazionale di Napoli.
Nel 1963 acquista con la meritata autorevolezza sul campo la funzione di capogruppo e dando più ampia copertura alle scelte dell’amministrazione applica per la prima volta la legge Sullo nr 167 che introduce i PEEP (Piani Edilizia Economica Popolare) e i PIP (Piano Insediamenti produttivi). Il Comune di Brescia è tra i primi ad applicare i dettami della 167 individuando 8 comprensori e oltre 10.000 appartamenti di edilizia popolare.
Nelle elezioni amministrative del novembre 1964 Piero è eletto con una messe di 1300 preferenze ed è riconfermato capogruppo con Bruno Boni ancora molto votato sindaco di una giunta di cui fan parte tre socialisti, due socialdemocratici e otto democristiani.
Mino Martinazzoli (Orzinuovi 1931, Brescia 2011) è stato uomo politico e di governo, presidente della provincia di Brescia (1970-72), capogruppo al Comune di Brescia (1975-80) e sindaco di Brescia tra il 1994-98.
Senatore dal 1972, ministro di Grazia e Giustizia, ministro della Difesa, ministro delle Riforme Costituzionali, presidente dei deputati democristiani. Come segretario della Democrazia Cristiana nel 1993 ne decise lo scioglimento per avviare la breve esperienza del Partito Popolare. Candidato presidente della Regione Lombardia nella primavera del 2000.

LA BASE IN PUGLIA

Testi elaborati da Gianni Mainini con testimonianza di Nicola Pice
GIUSEPPE ZURLO E STEFANO BIANCO
GIUSEPPE ZURLO
Documentazione tratta dal libro Giuseppe Zurlo, scritti politici” con sottotitolo “L’Europa nella mente, il Sud nel cuore” a cura di Luigi Matteo. 2013 Youcanprint .
Nato a Ostuni il 1° ottobre 1926 è stato un dirigente, giornalista e politico, eletto deputato nelle file democristiane dal 1976 al 1987. E’ morto a Roma il 29 ottobre 2020. Ha militato fin da giovane nella Democrazia Cristiana ricoprendo incarichi direttivi da segretario provinciale dei giovani DC. Ha diretto il periodico Civiltà Europea.
Responsabile regionale per Puglia e Basilicata della corrente democristiana La Base. E’ stato uno degli amici di Stefano Bianco, l’altro esponente della Base in Puglia , con cui ha collaborato spesso indirizzandolo nelle sue attività. Infatti, già nel primo numero del Corsivo agenzia di stampa dell’amico Stefano, appare un’intervista al prof Giovanni Galloni, invitato in Puglia proprio da lui. Lo ricorda il libro “Giuseppe Zurlo, scritti politici” . Nell’opera scorrono i sessant’anni dedicati alla politica da Giuseppe Zurlo raccontati attraverso i suoi scritti. Freschi e attuali, come stilati appena ieri. Una bella storia nella storia della Democrazia Cristiana. Ne esce il fermento, la preparazione, la passione che animava i suoi uomini migliori, a cominciare dalla vita nelle sezioni fino ai più alti livelli in Parlamento, in Italia e in Europa. E tutto rendicontato al proprio elettorato.
Giuseppe Zurlo ha ricoperto incarichi importanti: Segretario interprovinciale dei dipendenti dell’Ente Riforma Fondiaria pugliese ,componente della Commissione Centrale dei Probiviri della D.C. dal 1957 al 1967, Consigliere Nazionale della D.C. dal 1967, eletto alla Camera dei Deputati nel 1972, rieletto Deputato nella settima, ottava e nona Legislatura fino al 1987, componente della Commissione Agricoltura della Camera, Sottosegretario alla Sanità (III Governo Andreotti), Sottosegretario all’Agricoltura e Foreste (III, IV e V Governo Andreotti dove ha collaborato col ministro Marcora insieme al sottosegretario Arcangelo Lobianco) ; sempre sottosegretario all’Agricoltura nel primo governo Craxi con mille deleghe, componente della Commissione Parlamentare di inchiesta sulla Loggia P2, Commissario prima e Presidente poi dell’UNIRE. Nel 2002 è segretario dell’Associazione Italiana del Partito Popolare Europeo.
Un gladiatore della riforma fondiaria. Dirà al suo amico Bartolo Ciccardini: “La riforma era una rivoluzione di testa, doveva sparire la borghesia agraria e dovevano nascere i piccoli proprietari se volevamo che sparisse la servitù dei cuori. Ai latifondisti non abbiamo fatto del male. Le terre espropriate le abbiamo pagate anche troppo bene per quei tempi… ma gli abbiamo strappato di mano la proprietà delle anime, il ricatto della fame, il possesso politico della gente. Questa sì, è stata una rivoluzione” (Bartolo Ciccardini “Viaggio nel Mezzogiorno d’Italia. Ed. Guida 2009, cap. IX dal titolo “Gli incontri della memoria”).
Dagli scritti emerge l’amicizia e la stima ricevuta da Moro, Rumor, Marcora, Andreotti, Galloni, Zaccagnini, Goria, Ciccardini, Martinazzoli. Furono amici sinceri – pur in un partito dilaniato dalle correnti – semplicemente perché si fidavano di lui; sapevano che avevano a che fare con una persona leale, onesta, proba. Ed affiora il percorso politico di un uomo inserito perfettamente nel suo difficile contesto storico, legato profondamente al suo partito, ai problemi e ai valori della sua terra, al suo Sud come il marinaio alla stella polare. Il suo concetto e il suo progetto di politica, democratico e cristiano, inteso come esclusivo e squisito spirito di servizio. Un grande carattere, dotato di una forza e di un’energia spirituale straordinaria che ha messo sempre al primo posto l’onestà, l’integrità, la trasparenza come garanzia presso i suoi elettori ma specialmente come scudo nei confronti della malavita organizzata, sempre in agguato, e contro la quale ha sempre combattuto.
STEFANO BIANCO
Documentazione tratta dal libro: Stefano Bianco passione politica e impegno sociale.
Edizioni del Sud; stampa giugno 2021
Il libro illustra l’impegno sociale e politico del personaggio Stefano Bianco, promotore di diverse iniziative nella Puglia del dopoguerra.
Si avvale di una presentazione di Pierluigi Castagnetti e dei contributi di Antonio Nappi ,Vincenzo Robles, Pietro Sisto.
Stefano Bianco (Putignano ,18 giugno 1931,Bari ,18 settembre 2015) laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Bari nel 1969 , è stato Assistente sociale e docente di “Politica Sociale” nonché presidente nazionale dell’AssNas ,Associazione Nazionale Assistenti Sociali. Giornalista pubblicista, ha fondato nel 1961 l’agenzia “Corsivo”, laboratorio di riflessione politica; è stato direttore responsabile di numerosi giornali radicati sul territorio regionale. Nel 1974 diventa vicesegretario provinciale della DC di Bari. Prima consigliere comunale di Putignano, poi è stato consigliere comunale a Bari e Assessore al Decentramento realizzando il decentramento amministrativo della città in Circoscrizioni e Consigli di quartiere. Indi consigliere regionale. Nel 1994 è eletto consigliere nazionale del Partito Popolare, nel 1996 commissario straordinario dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico “ Saverio De Bellis” di Castellana Grotte; sotto la sua direzione è stato portato a termine il nuovo ospedale.
Ha militato nella Democrazia Cristiana, nella sinistra di Base, poi nel Partito Popolare, nella Margherita infine nel Partito Democratico.
Nella sua presentazione, Castagnetti sottolinea che Stefano Bianco era un uomo di forte carattere, che Inizia con l’impegno in Azione cattolica, poi nei servizi sociali. Infine l’approdo alla politica nelle file della Democrazia Cristiana, sulla scia di Giovanni Galloni, Giuseppe Zurlo e Nicola Pistelli, cioè della corrente di Base. In Puglia non fu una scelta facile. La Base era una corrente prevalentemente settentrionale fatta da uomini della Resistenza (Mattei, Marcora, Marchetti) intellettuali dell’Università Cattolica (De Mita, Misasi, Boiardi) e alcuni cattolici adulti che credevano nella laicità della politica (Pistelli, Galloni).
In Puglia c’era Moro con la sua grandezza, ma c’erano anche i morotei, che spesso erano un’altra cosa. Ci voleva carattere per scegliere un’altra strada. Lui lo fece. Si lasciava guidare dalle sue regole d’oro .La prima: in politica non mollare mai, prima o poi verrà il giorno; la seconda: in politica devi continuare a studiare se non vuoi essere un replicante di altri e di altri tempi.
Stefano Bianco trova la sua prima formazione negli ambienti dell’azione cattolica, rinnovata dopo la presidenza Gedda, in quanto i giovani cattolici vogliono che la politica si faccia con scelte politiche e non con scelte religiose, dando vita ad un piccolo gruppo di quella che in Puglia rappresentò la terza generazione dei cattolici democratici che vide impegnanti uomini delle Acli, della Cisl e giovani cattolici democratici.
A soli 23 anni insegna Sociologia e Previdenza ai corsi professionali dell’Opera Diocesana Assistenza di Bari. Affronta i problemi dell’Istituto ONARMO(Opera Nazionale Assistenza Religiosa Morale Operai) ,delle Colonie estive e dei Centri Sociali suggerendo notevoli riforme nella conduzione dell’assistenza. Sogna una comunità di lavoro alla stessa maniera di Adriano Olivetti che a Torino aveva fondato il Movimento Comunità. Avrebbe istituito delle Cooperative di lavoro tra dimessi del sanatorio. Ma doveva constatare che i suoi ideali potevano essere apprezzati, ma difficilmente condivisi e lavora alla riforma dell’Onarmo.
Alla Base a Milano già conoscevano le sue battaglie per la moralizzazione della vita politica e dall’incontro con Galloni del luglio 1960 nasce l’idea dell’agenzia giornalistica che vede la luce nel ’61 collegata al Centro Studi “La Base” . L’agenzia CORSIVO permette così alla Base di avere un proprio foglio regionale in Puglia e un proprio gruppo politico.
Inizia il passaggio da una posizione di semplice moralismo all’accettazione di un programma politico. Percorrendo i diversi numeri del primo anno di edizioni è possibile comprendere il limitato spazio politico ed elettorale che la sinistra DC ebbe in Puglia. L’ideale di una apertura verso il Partito Socialista continuava a trovare ostacoli anche tra coloro “che su venti parole pronunciano ventidue volte il nome di Moro”. E distingueva la persona di Moro dai morotei. Nel 1963 tiene un corso organico di lezioni per l’Onarmo di Roma. Col nuovo impegno didattico arriva la nomina a presidente nazionale dell’Associazione degli Assistenti sociali.
Il suo lavoro alla sezione regionale dell ‘ Ente di Riforma Fondiaria (voluto dal primo governo De Gasperi per attuare la riforma agraria) gli consentì di conoscere Giuseppe Zurlo, responsabile della corrente La Base in Puglia e Basilicata. Una vita politica sostenuta dallo studio e ben presto passò dai problemi di sezione ai più ampi problemi del Comitato Regionale.
Nel congresso provinciale del 69 in cui la lista “Amici di Moro” ottenne una forte affermazione, la lista di sinistra ottenne due seggi :Ferruccio Santonastasi e Stefano Bianco. La mozione da lui presentata interpretava il disegno politico di Moro intendendo il centro sinistra come anticipatore di alleanze più estese. Gli ideali di Stefano spesso venivano frantumati dal coriaceo clientelismo del partito e dalla lotte interne non lasciandogli vita facile. Per le elezioni comunale di Bari del 1971 la candidatura di Stefano fu ovviamente supportata dalla Base che addirittura inviò Granelli a trattare il tema “Rilancio o superamento del centro sinistra nelle amministrazioni locali?”. E denunciava (Stefano) che il Centro sinistra è stato ridotto ad una formula priva di contenuti innovatori.
Eletto una prima volta, nel 1976 veniva riconfermato assumendo la carica di Assessore al Decentramento.
Anche nel 1981 Stefano risultò eletto nonostante i deludenti risultati elettorali del partito.
Nel 1986 la crisi del governo Craxi fu recepita nelle periferie del paese che si preparava a nuove elezioni. In Puglia si dimetteva da consigliere regionale Enzo Binetti per partecipare alle elezioni politiche del giugno 1987.Stefano sostituiva il consigliere Binetti in Regione. ” La prima esperienza non è stata esaltante. Occorre impegnarsi seriamente per far superare l’immagine negativa della Regione”.
Nelle successive elezioni regionali del 1990 Stefano risultava il primo dei non eletti, nonostante il lavoro fatto e nonostante le 7000 preferenze in più rispetto alle 15.000 precedenti. In realtà l’affermazione del Grande Centro e la sconfitta della sinistra DC è per la mancanza di una proposta politica originale.
Per le elezioni politiche del ‘92 Stefano cercò di anticipare le decisioni della Commissione elettorale centrale proponendo al segretario Forlani la sua candidatura anche attraverso la sollecitazione di Giovanni Goria e degli amici della Base(Galloni e Zurlo).
Purtroppo la candidatura non venne accettata.
Anche alle successive elezioni politiche del marzo viene candidato al Senato. Pur avendo ottenuto 34000 voti, risultato in controtendenza rispetto all’andamento nazionale che premia il Polo del Buon Governo, il primo governo della XII legislatura e il primo governo Berlusconi, non riesce eletto.. Stefano impersona poi a livello locale tutte le vicende della fine della DC ,al PPI, alla Margherita e al Partito Democratico essendo sempre in prima linea nell’impegno per una politica di rinnovamento ”Ci chiamate sempre a spingere l’autobus ma vi guardate bene dal mettere un motore nuovo, Il PD sta nascendo come un vecchio partito”.
Proficue amicizie quella di Zurlo e Bianco in terra di Puglia, entrambi legati da una comune tensione per il rinnovamento e la laicità della politica nonché per impegno sociale, soprattutto verso i ceti popolari, e forte collegamento con le strutture legate alla Chiesa, come Azione Cattolica ed Acli, dove ridedicavano l’autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche. Le battaglie principali sono state sulla prospettiva dell’allargamento dell’area democratica al PSI; sul significato e l’impegno la natura dell’anticomunismo della DC; il rinnovato slancio della DC sui temi delle riforme istituzionali e politiche economiche per allargare gli spazi di libertà e di crescita dei cittadini e dei ceti popolari.
Stefano Bianco è stato una figura storica abbastanza circoscritta in una area geografica molto limitata, ma non per questo meno importante : che ha saputo agire, programmare, lasciare testimonianze del proprio operato nonostante l’appartenenza a un gruppo minoritario del partito. E’’ arrivato al partito attraverso le attività sociali e ha vissuto la politica impegnandosi in attività sociali. Alla fine del suo molteplice impegno è rimasto deluso e mortificato nel constatare le difficoltà di far comprendere e vivere gli ideali di uomini “liberi e forti”.
STEFANO BIANCO. PASSIONE POLITICA E IMPEGNO SOCIALE
Di Nicola Pice
Devo la mia conoscenza di Stefano Bianco all’avv. Carmine Gallo che ebbe di lui un rispetto e un’ammirazione senza pari, ma la riscoperta della sua poliedrica figura di politico scomodo e controcorrente la devo a questo bel libro curato da Enzo Robles “Stefano Bianco. Passione politica e impegno sociale”, edito da Edizioni dal Sud (giugno 2021, pp.263). Se ne ricava una puntuale biografia disvelatrice della passione politica e di un instancabile impegno sociale ben radicato nella storia della società civile, politica ed ecclesiastica del Mezzogiorno nella seconda metà del Novecento. Emerge a tutto tondo la complessità di un periodo storico ricco di fermenti sociali e non privo di enormi contraddizioni ed aspri confronti a cui fa da contrappunto la libertà di pensiero e di azione di un uomo che seppe tenersi lontano da ogni carro politico e riuscì ad esprimere il suo fervore di cattolico democratico distinto dal pensiero/azione di Aldo Moro, ma non per questo meno caratterizzato dall’avvertire lo stretto rapporto tra fede e impegno politico, tra pensiero e azione. Con sicura fermezza e con incrollabile intransigenza non rinunciò a ricercare il bene comune, tenendosi lontano da ogni forma di supponenza e di arroganza così come da ogni compromesso che potesse incrinare la dirittura morale.
La sua lucida visione lo portava ad avversare tesseramenti e atteggiamenti baronali. “Era un signore d’altri tempi. Per lui la politica non poteva sottrarsi alle regole della logica, del disinteresse personale, di una finalità ulteriore e della correttezza reciproca nei rapporti personali”, scrive di lui Pierluigi Castagnetti. Fu un vero meridionalista che aveva la capacità di pensare politicamente e di aprirsi al futuro e ai cambiamenti necessari: lo prova il suo “Corsivo” (quanti politici meridionali hanno avvertito il bisogno di aver un giornale che rendesse partecipe la collettività oltre che farsi agorà di confronto, di approfondimento, di studio?).
Questo “giornaletto”, come il tafano di memoria socratica, giungeva puntuale a pungolare ai fianchi i diversi rappresentanti politici come pure non pochi esponenti della gerarchia ecclesiastica. Bianco era fermamente convinto che l’essere in politica dovesse comportare una funzione di servizio alla comunità, non un servizio che significasse servilismo, compromesso, tradimento delle giuste attese degli oppressi e degli ultimi. E rivendicava una libertà di pensiero che costituirà la cifra stilistica del suo essere un “politico” e contrassegnò la sua corrente “La Base”, un gruppo minoritario nato dopo la crisi del centrismo degasperiano in opposizione alla deriva di destra, che si apriva all’esperienza rivoluzionaria del ‘centrosinistra’, sfidando ogni remora che veniva dall’interno della stessa Democrazia cristiana e nondimeno dal cieco dogmatismo di certa gerarchia ecclesiastica, mentre mirava ad allargare l’area democratica nella sinistra e a ricercare una moralizzazione della vita politica.
L’adesione di Stefano Bianco alla corrente “La Base” fu immediata e spontanea, perché in fondo proveniva “da quel suo giovanile sogno di creare una comunità di leva, voluta da Olivetti, dalle sue esperienze di lavoro presso l’Ente Riforma, dalla sua vicinanza alle Acli”. La scelta nasceva dall’avvertito bisogno di “ritornare alle origini più genuine del Partito, di rimanere fedele alla sua impostazione di partito popolare, cristiano, innovatore, progressista, antifascista. E il centrosinistra era visto non come stato di necessità, ma come vitale necessità storica”. Il nostro libro consente di ripercorrere il cammino dell’uomo aperto alla comprensione della nuova fase della democrazia italiana, dagli anni delle prime esperienze a quelli della consapevole scelta della politica e della esperienza degli incarichi ricoperti in ambito regionale, con l’idea fissa che la Regione fosse un Ente chiamato a coniugare lo sviluppo umano con quello economico, il progresso con la qualità della vita, il benessere come obiettivo per tutti e non come privilegio per pochi: insomma un impegno “politico” ancor oggi tutto da realizzare.
Dopo una appassionata e feconda ricerca svolta sulle carte del ricco Archivio lasciato da Bianco - carte che ripercorrono la sua attività politica e amministrativa e il suo impegno nella sanità e nei servizi sociali, nonché la sua attività giornalistica - Enzo Robles con la sua consueta acribia scrive questo libro che è ad un tempo documento e memoria. Ne nasce un rigoroso profilo di Stefano Bianco quale figura storica della DC e del PPI ed espressione di un impegno strenuamente vissuto nell’ottica della difesa di un ideale laico vissuto con impegno e dedizione nell’arco di un tempo che dagli anni del fascismo giunge sino al primo decennio del XXI secolo. Un tempo lungo che ha conosciuto grandi cambiamenti sociali e politici e che è passato dagli ideali della Resistenza e della Carta Costituzionale alla politica della contrapposizione ideologica e a quella del dialogo e della collaborazione sino alla stagione della politica-mercato.
Sono così passati in rassegna i suoi primi impegni nell’Azione cattolica, convinto dell’autonomia della religione dalla politica e della responsabilità personale dei laici impegnati in politica, necessariamente obbligati ad essere liberi da qualsiasi condizionamento e difensori della giustizia sociale; le sue prime esperienze nel campo assistenziale in cui prendeva le distanze da ogni distorsione di azione piegata a forme di becero clientelismo; le lotte, quand’era appena ventiquattrenne, per la classe bracciantile, rinnegando ogni forma di speculazione esercitata da politicanti e demagoghi nei confronti dei poveri contadini e suggerendo alla Charitas sociale di intraprendere azioni coraggiose e innovative, nutrendo la speranza, come scrive a Mons. Baldelli, di poter trasformare l’industria in una comunità di lavoro che superasse il sistema capitalistico e difendesse le persone per il raggiungimento degli interessi materiali e spirituali.
Stefano Bianco non tacitò mai i suoi disagi nei confronti di azioni dettate da interessi di parte più che da un sentire cristiano di condivisione e di riformismo sociale e segnerà per sempre il suo agire politico all’interno del partito della DC contraddistinto da una chiara posizione anticapitalistica e classista, pur senza mai rinunciare a volgere un occhio critico al marxismo come metodo privilegiato di interpretazione della realtà sociale. Vennero poi gli anni tristi del dopo-Moro con un appiattimento di ogni elaborazione politica in mezzo al disorientamento generale che favoriva sempre più l’emergere di ammucchiate e correnti di potere, ma non una proposta politica originale, in quanto oltremodo irretiti dal “grande Centro”. A Bianco venne rigettatala sua autocandidatura al Senato dopo aver inutilmente cercato di denunciare il fatale mercimonio politico che di lì a breve avrebbe segnato la fine della DC. In una nota del “Corsivo” del 15 marzo 1993 amaramente annotava: “È triste assistere alla caduta di una grande forza politica popolare, per giunta ispirata ai principi dell’etica cristiana, per colpa di eletti che con la loro azione la stanno trascinando nel baratro. Sono in molti quelli che stanno meditando di prendere le distanze dal vecchio partito anche perché non notano segno alcuno di cambiamento o di reazione politica ai fatti illeciti scoperti dalla magistratura”.
La crisi della DC (ma anche degli altri partiti) era ormai innegabile, si andava sfarinando tutto un mondo politico. A poco valse la nascita del Partito Popolare, seppure alimentato inizialmente dalle idee innovative e poi miseramente finito succube dei vari personalismi locali. Stefano Bianco sconfessò aspramente il suo Segretario, disapprovando il disegno politico che si appiattiva sul progetto di Berlusconi e si diceva pronto ad interloquire con la Lega per la costruzione di un’area liberal-democratica. Ne derivò la espulsione di Bianco e di quanti avevano in tal senso agito insieme a lui, determinando così lo scioglimento del partito e l’inevitabile smarrimento del corpo elettorale.
Seguì l’esperienza dell’Ulivo e nondimeno le amarezze per le censure subite e per la preferenza accordata a personaggi che Bianco riteneva non eleggibili. Ma non demorse, anzi più coraggiosamente continuò a sostenere la necessità di trovare una classe dirigente discontinua con la vecchia DC e a ribadire che “mi sono iscritto a questo partito non solo perché vengo dall’Azione Cattolica, ma perché è il partito dei liberi e noi dobbiamo essere uniti, ma liberi, vivaci, costruttivi”.
Seguì l’esperienza della “Margherita”, sperando che tale movimento riuscisse concretamente a coinvolgere la gente, più la società civile che i partiti. Ma anche quella speranza restò delusa: le lotte intestine fra i due schieramenti interni della Margherita pugliese ebbero il sopravvento, gli obiettivi personali e la perseguita resa dei conti annullarono tutti gli sforzi di rinascita di un partito seriamente fondato sugli ideali di libertà e di progresso civile, e invece purtroppo ancorato ad un “mare di banalità”: i congressi che si susseguirono più che dibattere i problemi della Puglia e il ruolo del partito si appassionarono alla consacrazione dell’organigramma dei vari “canonici” di volta in volta predisposto.
Il libro ripercorre gli anni della istituzione del Partito Democratico con le belle idee di non lasciarsi imprigionare dal minoritarismo e dal conservatorismo di sinistra né dalle paralisi delle decisioni e si mirasse convintamente alla costruzione di un Partito innovato nelle sue strutture organizzative e nelle sue idee progettuali, un partito sostenuto da comportamenti responsabili e capace di mettere al bando ogni difesa egoistica degli interessi di parte. Ancora una volta l’idealismo di Bianco prendeva il volo nel campo aperto del nuovo progetto di partito, illudendosi che potesse essere davvero democratico di nome e di fatto, davvero “uno strumento di attrazione del principio della sovranità popolare, davvero “un partito che non fosse proprietà del principe di turno, ma dei militanti, di una classe dirigente selezionata non in base alla fedeltà dimostrata ai capi”, un partito che creasse “relazioni con la società in tutti i suoi aspetti, rivolgendosi all’intera esperienza ad esempio del volontariato e non ai vertici, ai cattolici e non al parroco”. Lascio al lettore la valutazione di quel dire sacrosanto di Bianco sull’idea di un partito “democratico” capace di perseguire tali obiettivi coraggiosi. Le divisioni e un certo cupio dissolvi sono storia dei nostri giorni: la schiettezza non paga, merito e competenza non interessano, schierarsi col partito non paga, meglio schierarsi con uno dei suoi leader, che pensa poi a portare avanti chi fa parte della propria corrente o gruppo, valori e idee non bastano, in democrazia contano i numeri, con troppi “io”, che insieme non sanno ancora fare più della somma dei singoli narcisismi.
Questo libro segna la storia di un uomo che, ribelle per natura e libero da ogni subalternità, non ha mai smesso di levare la sua voce critica contro le varie “prepotenze” della politica, sempre pronto a leggere la realtà in movimento e ad aprirsi al nuovo, ancorato alla visione degli interessi collettivi e al riparo dall’incontrollata deriva verso forme di esasperato individualismo. Ma non è solo la storia di un uomo, è anche la storia del nostro Mezzogiorno più volte tradito, più volte ridotto ad una sorta di periferia anonima dell’impero.
Non sarà difficile ritrovare in queste pagine le contraddizioni che oggi caratterizzano la nostra democrazia e per questo queste pagine hanno pure l’indubbio merito di sollecitare gli uomini d’oggi, soprattutto i giovani, a ritrovare la passione e il significato etico del fare politica.