Virginio Rognoni

Virginio Rognoni

Virginio Rognoni si è spento nella notte tra il 18 e 19 settembre nella sua casa, cascina gentilizia di Ca della Terra, Pavia. Classe 1924 laureato in giurisprudenza è stato ministro dell’Interno nei difficili anni 1978 -83 seguiti all’assassinio di Moro, poi anche ministro della Giustizia e della Difesa: Vice presidente de CSM dal 2002 al 2006.Dopo la DC aveva aderito al Partito Popolare e poi al PD. Lo avevo sentito prima dell’estate per comunicargli se voleva presiedere nel prossimo 2023 le manifestazioni di celebrazione del 40° anniversario della morte di Marcora. L’ultima uscita pubblica col Centro Studi Marcora,di cui era presidente onorario, fu nel dicembre 2019 a Palazzo Marino in occasione del ventennale della scomparsa di Luigi Granelli. Poi la pandemia aveva sospeso le attività in pubblico. Da ministro dell’interno aveva un ufficio a Milano all’inizio di via Meravigli con la presenza di una zelante segretaria. La sua carriera politica inizio quando Marcora lo propose-impose nella lista DC della Camera del collegio Milano Pavia nel 1968. E da valente ma ancora sconosciuto professore di diritto risultò tra i primi eletti sugli 80 candidati del collegio.Da allora per gli amici era “Gingio” e fu una delle colonne della Base con Granelli, De Mita: ministro, gentiluomo e iuventino: anche in questo del tutto simile a Marcora.
Una sera dell’autunno1978 ci trovammo con Marcora dopo una riunione in sezione Dc Inverno nella vicina trattoria Brera dove davanti ad un minestrone fumante preparato dal ristoratore e coetaneo di Albertino, Franco Garagiola. Marcora gli faceva presente le sue preoccupazioni perla situazione economica e insieme esternavano i dubbi sulla situazione politica a pochi mesi dall’uccisione di Moro. Preoccupazioni che poi furono documentate nel bellissimo opuscolo di Gian Maria Capuani “Preoccupazioni e allarmi di un ministro”. Come già con Taviani, Marcora lo chiamava spesso per essere aggiornato sulla situazione dell’ordine pubblico. Quando cambiammo nome alla via Roma per intitolarla a Marcora si complimentò per la dizione utilizzata : Ministro della Repubblica.
Aveva partecipato a tutte gli anniversari di commemorazione di Marcora alle varie edizioni del Premio Marcora,le ultime nella sede della provincia di Lodi con Guerini e Santantonio. Il suo portamento signorile, sottolineato anche dalla figura elegante,snelle e slanciata gli conferiva una aurea di importanza e di rispetto che lui tendeva a sminuire con un comportamento amichevole e disponibile,soprattutto con chi gli era vicino,come quando radunava tutti nella sua cascina in occasione dei compleanni. Gli amici e la politica lo rimpiangono per una testimonianza di vita esemplare che ha dato dignità alle istituzioni servendole nelle varie posizioni occupate. Da quando era diventato ministro la sua figura fu soprattutto di uomo delle Istituzioni piuttosto che di partito, anche se la sua storia di cattolico democratico, esponente di punta della sinistra DC non potrà mai essere sottaciuta. Anche da “pensionato” non tardava a far sentire la sua opinione su vari quotidiani nazionali come per esempio sulla Repubblica del 22 giugno 2020 a proposito del CSM ( e la moralità da recuperare) o sul Corriere anni prima quando affermava che era sta scelto Ministro della Giustizia (1986-7) per il suo equilibrio e la sua sobrietà.Equilibrio e sobrietà che ci mancheranno.
Gianni Mainini

Intervento di Mario Mauri del circolo Marcora di Milano

Il circolo Marcora di Milano ricorda con affetto e ammirazione l'esemplare esperienza politica dell'amico Virginio Rognoni che oggi ci ha lasciato. Ha reso grandi servizi al Paese: ministro degli Interni nel drammatico periodo succeduto all'assassinio di Aldo Moro, protagonista della guida del mondo democratico nella lotta finale contro la malavita terroristica, esponente autorevole del consiglio superiore della Magistratura. Coronamento, quest'ultimo, di una rigorosa formazione culturale e scientifica che si espresse in lunghi anni di insegnamento universitario. Ebbe il grande dolore della morte prematura della moglie, sventura che sopportò con grande anche se straziata dignità, sorretto affettivamente dalla sua bella famiglia. Sullo sfondo di questo impegnativo quadro biografico ci fu sempre, in ogni momento. la capacità di trasmettere serenità e sicurezza in chi gli fu vicino per affetto, amicizia, collaborazione, militanza politica. Grande qualità della sua esperienza politica è stata ancora la coerenza. Fu sempre dalla stessa parte, quella del cattolicesimo democratico, di una sinistra politica attenta al rinnovamento dello Stato nella ricerca di equilibrio tra i poteri istituzionali e le parti sociali. Una perdita, la sua, ma anche una grande lezione di equilibrio e di concretezza per la politica di oggi nel ricordo del suo vissuto.

IL DOMANI D ‘ITALIA
ADDIO A ‘GINGIO’ ROGNONI, CI HA DATO UN ESEMPIO DI GRANDE FEDELTÀ ALLE ISTITUZIONI E ALLA DEMOCRAZIA.
di Mariapia Garavaglia -settembre 21, 2022

In Lombardia, insieme ad Albertino Marcora tirava le fila della Base (sinistra Dc)). Fu più volte ministro. Aveva un portamento nobile, “da professore”. Cattolico rigoroso, ma intransigente nella difesa della laicità dello Stato, durante la sua lunga carriera parlamentare mostrò più volte quella libertà di coscienza che lo contraddistingueva.
In via Mercato a Milano c’era la sede della Base e l’ufficio politico di Giovanni ‘Albertino’ – nome di battaglia – Marcora. Il Capo ci radunava con sistematicità per affrontare insieme ai Senior i temi di politica interna ed europea. Al tavolo della presidenza con lui sedevano sempre Rognoni e Granelli: ‘Gingio’ e Luigi, quasi gemelli. Luigi Granelli, un tribuno appassionato, e Gingio, pacato giurista che “interpretava” Albertino, Luigi, Vincenzo di Lavagna, e i giovani basisti, nel loro “corpo a corpo” con la legislazione che di volta in volta coinvolgeva le scelte parlamentari del gruppo. Noi basisti non eravamo mai ribelli in Parlamento, ma da via Mercato partivano analisi e proposte che sollecitavano, anche fortemente, i gruppi della Dc alla Camera e al Senato.
Rognoni veniva eletto nel collegio Milano-Pavia, quello in cui ero candidata anch’io: per quattro legislature siamo andati in tandem nei comizi. Gli devo un sostegno fondamentale.Nell’Oltrepò, il nostro comune collegio elettorale, frequentavamo i viticultori e partecipavamo alle Fiere in cui era obbligatorio assaggiare vini…Eravamo complementari: Gingio mi portava le preferenze pavesi mentre io, piu forte a Milano, trascinavo lui in città. Sempre eletti.
Vale ricordare, in vista di quanto diranno altri con più approfondimento, che egli ha servito il Paese con grande scrupolo personale e istituzionale. È stato ministro dell’Interno in momenti drammatici, essendo subentrato a Cossiga dopo la tragedia di Moro. Ha affrontato la durezza della lotta al terrorismo e ha lasciato un segno nella lotta alla mafia. Da ministro della Giustizia ha promosso la legge nota come “Rognoni-La Torre”, in attuazione di una fondamentale indicazione di Giovanni Falcone, quella relativa al controllo del percorso dei soldi della mafia. Ricordo, per altro, di aver seguito in Commissione giustizia il dibattito su quella legge e di essere stata nominata conseguentemente nella prima commissione antimafia presieduta dal comunista Alinovi.
Gingio andò poi alla Difesa, voluto da Andreotti dopo le dimissioni di cinque ministri della sinistra democristiana: Calogero Mannino (Agricoltura), Carlo Fracanzani (Partecipazioni statali), Riccardo Misasi (Mezzogiorno), Sergio Mattarella (Pubblica istruzione) e Mino Martinazzoli (Difesa). Era stata posta, com’è noto, la fiducia sul provvedimento che riguardava l’emittenza radiotelevisiva. Andreotti, difendendo il lavoro del “pazientissimo ministro Mammì”, rivendicava la mediazione operata dall’esecutivo: al gruppo privato televisivo più consistente (la Fininvest di Berlusconi) erano imposti vari limiti, diversamente da quanto previsto per la RAI, libera da vincoli e sostenuta dal canone. Ci fu rottura, anche con Gingio. Per qualche tempo s’interruppe il rapporto con gli amici della Base, ma alla lunga tanto la sintonia culturale, quanto la passione civile e politica, portarono gli amici a ritrovarsi.
Amavo ripetergli sempre che aveva un portamento nobile, “da professore”. Cattolico rigoroso, ma intransigente nella difesa della laicità dello Stato, durante la sua lunga carriera parlamentare mostrò più volte quella libertà di coscienza che lo contraddistingueva. D’altronde la Base era una corrente sui generis, una squadra dove ciascuno giocava il un ruolo proprio. Ormai anziano, non ha mai rinunciato ad intervenire su quotidiani nazionali o a raduni locali per testimoniare con fermezza i valori per i quali aveva impegnato la vita.
Voglio ricordare, come segno riassuntivo della sua appartenenza ad una storia di fedeltà alla democrazia, la commozione che accompagnò il suo discorso di Milano per il 25 aprile del 2006: “Non dobbiamo consentire – disse in quella circostanza – che si svilisca sottilmente il ruolo della guerra partigiana attraverso l’inaccettabile parificazione del soldato di Salò con il partigiano della montagna”. E sulla Costituzione aggiunse: “Ha garantito e garantisce la democrazia italiana”. Ecco chi era Gingio, un padre della Repubblica, cui dobbiamo onore e gratitudine. Lo chiamavamo con quel nomignolo – Gingio – che sembrava sconveniente per una persona della sua statura, ma era piuttosto la manifestazione di un grande affetto mescolato a stima.