PIETRO PADULA

Ritratto sintetico liberamente tratto dal libro La buona politica di Ennio Pasinetti e Franco Franzoni luglio 2019

A Brescia nel dopoguerra si era creato un cenacolo intellettuale e politico che univa una serie di figure importanti, il gruppo degli “avvocati” che saputo interpretare la necessità di progresso del sistema socio economico non solo locale ma di tutta l’area.


Tra questi avvocati, figura di spicco è stato Pietro Padula.
Pietro (in realtà Piero per tutti) ha sempre considerato la politica esercizio probo del potere, come spiegato nel libro che nasce per la sensibile determinazione di Franco Franzoni presidente del Centro Studi De Gasperi di Castegnato, amico ed estimatore.
Vengono delineate le innumerevoli sfaccettature dell’impegno di Piero: un ruolo nazionale nella storia della Democrazia Cristiana, un ruolo di primo piano all’interno della “sinistra di Base”, una leadership locale riconosciuta.
Identità che si fondano su alcuni punti fissi: il primato delle istituzioni, la politica come servizio alla società, la sobrietà dello stile di vita individuale, la rettitudine etica, ovvero il rispetto pieno della laicità dello Stato scritto nella Costituzione.
Esemplare interprete di quella sinistra DC che ha coniugato in sintesi politica- amministrativa i valori del cattolicesimo liberale e le potenzialità del cattolicesimo popolare. In altre parole, la politica ha un suo rigore morale ma non fa parte della morale. .
Ed il carattere umano: aperto, sempre disponibile. Ha esercitato il potere che ha avuto la sorte di assumere con umiltà e non ha mai rinunciato al ruolo di far vincere la ragione contro la demagogia, costituendo e meritandosi un una rete diffusa di amicizie fidate.
Nato il 21 agosto 1934 a Brescia, consegue la maturità classica al liceo Arnaldo e si iscrive alla Università Statale di Milano alla facoltà di Giurisprudenza, quando già ventenne è impegnato in politica nel Movimento Giovanile DC prima a Brescia e poi a livello nazionale. Lo appassiona e preoccupa la stanchezza ideale della DC: dopo la morte di De Gasperi la fase di travaglio, con governi conservatori e di centro destra, che porterà solo dopo battaglie di anni al Centro Sinistra.
L’intensa dialettica tra i centristi e chi è incline all’apertura a sinistra coinvolge anche la periferia, i giovani in particolare.
Nel 1956 il parlamentare bresciano Enrico Rosselli lo chiama a collaborare all’Ufficio Studi della Dc, ma il suo mentore nella capitale è Franco Salvi che dirige dal ’54 l’Ufficio Formazione Centrale del partito. Nel 1957 succede a Celso De Stefanis alla direzione della rivista del Movimento Giovanile “Per l’Azione”. Nel 1958 entra nell’esecutivo del Movimento giovanile e intesse relazioni particolare con i giovani della Base; Giovanni Marcora e Luigi Granelli, Nicola Pistelli, Ciriaco De Mita, Gerardo Bianco, Giuseppe Gargani; i i veneti Antonio Dorigo e Vincenzo Gagliardi, e soprattutto il cuneese Guido Bodrato.

Alle elezioni del novembre 1960, nel pieno del fulgore del sindaco Bruno Boni, gli si chiede di candidarsi alla Loggia, esordendo per la prima volta come consigliere comunale.
Ma già nel 1958 Piero è tra oi promotori di una iniziativa in esplicita opposizione al sindaco e segretario provinciale, assieme a Vittorio Sora e Giulio Onofri, giovani come lui vicini all’esperienza milanese di Marcora e Granelli.
Entra a far parte del Comitato Provinciale nel ’62, per espressa volontà del segretario provinciale Boni,che vuole presenti anche le componenti a lui non favorevoli. Nello stesso anno viene eletto delegato con Gitti, Onofri e Sora allo VIII congresso nazionale di Napoli.

Nel 1963 acquista con la meritata autorevolezza sul campo la funzione di capogruppo e dando più ampia copertura alle scelte dell’amministrazione applica per la prima volta la legge Sullo nr 167 che introduce i PEEP (Piani Edilizia Economica Popolare) e i PIP (Piano Insediamenti produttivi). Il Comune di Brescia è tra i primi ad applicare i dettami della 167 individuando 8 comprensori e oltre 10.000 appartamenti di edilizia popolare.
Nelle elezioni amministrative del novembre 1964 Piero è eletto con una messe di 1300 preferenze ed è riconfermato capogruppo. Bruno Boni ancora molto votato si conferma sindaco di una giunta di cui fan parte tre socialisti, due socialdemocratici e otto democristiani.

A Brescia, in Loggia, Padula è parte di un quadriennio di grande respiro; l’approvazione definitiva del PRG noto come Piano Morini e i relativi interventi su strade, circonvallazioni, ospedale civile(ampliamento) edificazione palazzo esposizioni e costruzione del’Itis Castelli. In questo periodo il sindaco Boni lo nomina vicepresidente dell’IACPM a è chiaro che lo sguardo di Padula è rivolto più lontano. Le elezioni politiche del maggio 1968 vedono per la prima volta il successo di due candidati della sinistra DC: Michele Capra per Forze Nuove e Pietro Padula per la sinistra di Base.

Ai primi passi dell’esperienza parlamentare Padula viene eletto nella Giunta delle elezioni e membro della commissione Giustizia.
Nella successiva elezione del 1972 la segreteria bresciana di centro (fanfaniana), sfiduciata dal Comitato Provinciale ritrova unità inserendo Martinazzoli al Senato e una distribuzione per la Camera con Pietro Padula, Francesco Salvi e Michele Capra per la maggioranza e Mario Pedini, Gianni Prandini e Cesare Allegri per la minoranza.
Pietro Padula rieletto riassume le stesse cariche alla Commissione per le elezioni e Giustizia. Nella Dc si chiude la segreteria Fanfani dopo l’insuccesso delle elezioni amministrative del 1975 e la battaglia persa sul referendum per il divorzio(1974). Viene designato segretario in Consiglio Nazionale Zaccagnini sotto la regia di Moro.
Padula entra nella Giunta esecutiva del partito come responsabile della formazione e nel governo come sottosegretario ai Lavori Pubblici del ministro Antonino Gullotti.
I suoi interventi in aula e le proposte di legge confermano un lavoro molto intenso: inquinamento, problemi di Venezia.La disciplina urbanistica e l’edilizia residenziale pubblica passano dal suo ufficio: le principali leggi di riforma la 457 sulla casa e la Bucalossi sul regime dei suoli hanno il suo imprinting.
La settima legislatura (1976-1979) apre un capitolo nuovo nella politica italiana: è la stagione che avvicinerà il partito comunista all’area governativa; è quella più difficile con l’esplosione degli attacchi delle Brigate Rosse, l’uccisione di Moro, la questione dell’ordine pubblico.
Dopo l’uccisione di Moro la crisi di governo: nel IV ministero Andreotti Padula rimane ai Lavori pubblici con nuovo ministro Stammati e si occupa tra l’altro degli interventi per la ricostruzione del Belice.
Nella VIII legislatura (79 -83) viene rieletto mentre nella IX legislatura passa al Senato, dove entra nelle commissioni Finanze e Lavori pubblici e partecipa in qualità di capogruppo delle delegazione democristiana alla commissione bicamerale d’inchiesta sulla loggia massonica P2 presieduta da Tina Anselmi.
A livello di partito Ciriaco De Mita, nei primi anni della sua segreteria (1982-84) lo vuole tra collaboratori più stretti. Piero si occupa per conto della Dc del mondo del credito e della finanza dimostrandosi un personaggio affidabile, preparato, capace.
Intanto a Brescia, Cesare Trebeschi , dal 1975 al 1985 , validamente rappresenta il dopo Boni. Nelle elezioni del maggio 1985, dove ha ottenuto ancora le più alte preferenze dopo Boni, Piero viene eletto con una difficile trattativa sindaco e si dimette dal Senato.
Piero non vuol essere solo un capace continuatore del buono che ha trovato in città e perciò si distingue come un costruttore di prospettive, un pragmatico che guarda alto e lontano. Padula immagina Brescia una città di respiro europeo.
Si impegna nella ridefinizione di sistemi bibliotecari e musicali proseguendo nel recupero di fruibilità di monumenti storici e artistici, soprattutto il complesso di Santa Giulia e San Salvatore “museo della città”. La Giunta Padula eredita alcuni dossier. Nel 1988 la Regione Lombardia impone la localizzazione sul territorio cittadino di una discarica di dimensioni ridotte e di un impianto per la distruzione dei rifiuti.
Con grandi difficoltà matura la scelta del termovalorizzatore. Viene definita con l’ASM anche la costruzione di una centrale termica policombustibile, che triplica la rete urbana del teleriscaldamento, inaugurata nel 1989 alla presenza del presidente della Repubblica Cossiga.
Con un discorso memorabile il sindaco rivendica la specificità dell’agire amministrativo in un quadro incerto. “Mi sia consentito ripetere qui l’ansia di tanti amministratori di una provincia che possiede e il culto dell’efficienza e della concretezza e si è mantenuta nei suoi tratti fondamentali sana e severa, di fronte alla tendenza sempre più evidente allo svuotamento delle competenze locali, alla rincorsa di provvedimenti normativi e di finanza straordinari che recano il sigillo inequivocabili di un rinnovato centralismo che costituiscono assai spesso il terreno più proprio per il tentazioni di inquinamento della vita delle istituzioni”.

Decisioni e progetti di lungo periodo sono quelli volti a ripensare il volto della città. Brescia ha ritenuto di prendere in esame un mezzo di trasporto alternativo quale la metropolitana leggera. L’impulso dato da Piero a questa partita è di grande operatività. Maturano altre decisioni pesanti: tra tutti il Palagiustizia ; il completamento del comparto A10 di San Polo; la sistemazione di Piazza delle Loggia, Piazza Vittoria, Piazza Duomo.
Nelle elezioni del 1990 la Dc si spacca e vengono presentati oltre al sindaco uscente tre teste di serie libere: Boni, Conti e Vivetti. Un tentativo di accordo tra Padula e Prandini porterà comunque a situazioni confuse. Si succedono tre sindaci dal 90 al 94. Boninsegna; poi il commissario e le elezioni anticipate, quindi il socialista Pannella e nel 92 Corsini.
Piero confida su una scanzonato foglio “Controvento” che circola all’interno della sinistra DC: “non sono pentito della mia scelta: ritengo l’esperienza amministrativa per il suo contenuto di concretezza certamente più faticosa e mano gratificante dell’impegno parlamentare, ma anche più esaltante. Soprattutto noi che veniamo alla politica da una formazione cattolico –democratica dobbiamo testimoniare che il governo di una città è fatto soprattutto di bisogni minuti e scelte concrete e su questo la gente è attenta e giudica i suoi rappresentanti”.
Pietro entra nel Cda della Serenissima è vice presidente della Centro-Padane, entra nel consiglio di amministrazione dell’EFIM.
Ma l’impegno che più lo gratifica è quello di presidente dell’ANCI, Associazione Nazionale Comuni Italiani nel 1992, dopo essere stato presidente dell’Anci Lombardia dal 1986.
Padula è stato l’ultimo presidente di una certa ANCI, potremmo definirla repubblicana, in antitesi con quella imperiale dei nuovi sindaci metropolitani, La grande Brescia-le grandi città-sono un capitolo non risolto delle cosiddette riforme istituzionali: falliti i comprensori, fallite le città metropolitane, bisogna continuare a tenere alto il confronto con le realtà esterne. La sera del 21 marzo 2009 muore improvvisamente in ospedale a Brescia dove stava attendendo un intervento chirurgico. A Brescia ha iniziato e chiuso la sua parabola.
Ha amato e servito l’etica della polis, la buona politica.
In appendice al libro sono riportati i ricordi di alcuni amici. Ne riportiamo alcuni.

Piero Bassetti

Era un democristiano con la solida consapevolezza che in politica la parte, e ciò che allora la organizzava, il partito, erano dimensioni cogenti e indispensabili.
Ma in Padula c’era un’altra cosa che ho sempre apprezzato: possedeva fino in fondo la consapevolezza che il rapporto tra il locale, e nel caso suo, il nazionale, non deve essere di subordinazione ma di coesistenza e collaborazione.
Nel suo impegno autonomista c’era la fermissima convinzione che fra i tanti difetti storici delle nostra esperienza centralista c’è sempre stata quella del drenaggio romano della classe dirigente locale senza produrne di nazionale.

Guido Bodrato

La storia della DC è anche la storia di generazioni. A De Gasperi e agli ex popolari (Gonella, Piccioni, Pastore) che trionfano nel ’48 e hanno governato il paese negli anni della ricostruzione e della Costituzione, sono subentrati alla guida del partito con il congresso di Napoli del 54 i professorini (Dossetti, La Pira, Fanfani) ed i cattolici che avevano partecipato alla Resistenza (Taviani, Zaccagnini, Gorrieri, Donat Cattin). Questa seconda generazione lascerà gradualmente la responsabilità del partito alla nuova generazione di Nicola Pistelli, Achille Ardigò, Giovanni Galloni, Franco Maria Malfatti, che lasciano il movimentò giovanile per raggiunti limiti di età dopo una significativa esperienza.
E la rivista Impegno Giovanile pubblica un intervento di Pietro Padula che fa capire l’inquietudine dominante tra i giovani “credo che la funzione di un movimento giovanile consista nell’inserimento qualificato dei giovani nel Partito su una precisa iniziativa politica come contributo allo sviluppo della DC”.
Si trattava di recuperare l’unita politica del Movimento Giovanile in una situazione inquieta prodotta dal mutamento di orizzonte delle elezione del 1953 con la crisi del centrismo. I giovani interpretavano la politica di De Gasperi come centro che guarda a sinistra. E Dossetti era stato il riferimento di una generazione che si era impegnata pensando che la politica fosse tutto.
Nel ‘ 68 siamo stati eletti parlamentari insieme a molti altri giovani della terza generazione: Paolo Cabras a Roma, Edoardo Speranza a Firenze, Gerardo Bianco ad Avellino, Enzo Scotti a Napoli, Eugenio Tarabini a Sondrio.
Iniziavano gli anni della democrazia difficile e delle convergenze parallele, della solidarietà nazionale. Aldo Moro rifletteva che “di sviluppo economico, di crescita si può anche morire” riferendosi al riemergente conflitto sociale.Ed anche “questo paese non si salverà e la stagione dei diritti si rivelerà effimera se non rinascerà un nuovo senso del dovere”.

Ciriaco De Mita

In certi casi ogni giudizio riguardo a persone di cui conserviamo un ricordo ancora fresco può essere sminuito dalla parola.
Anzi, se manca la concreta spiegazione del concetto, la parola finisce per ingannare o magari contribuire alla confusione.
Potrei infatti cavarmela dicendo di Piero ciò che tutti dicevano ponendo l’accento sulle sue qualità umane e politiche. Ma non sarei soddisfatto. La verità è che per lui andrebbe usata una espressione ardita ma non incauta: Padula era il migliore.

Mariapia Garavaglia

Un bel signore dai capelli bianchi, un sorriso aperto, la voce cantilenante con accento bresciano e roca da fumatore (fumavano tutti gli avvocati bresciani, Martinazzoli, Gitti, Padula).
Lo chiamavamo Baby.Il fatto è che per noi amici di una famiglia particolare –la Base-Pietro Padula era Babi. Cosi lo conobbi nel 1979.

Arria Clerici Sora

La Base a Brescia: Piero e glia altri.

Capitata a Brescia per una singolare congiuntura ho conosciuto Padula ed altri bresciani tra cui appunto, mio marito Vittorio, negli anni sessanta.
Il primo punto di incontro erano stati i convegni di San Pellegrino quando la DC allora maggioritaria poteva nutrire in sé veri gruppi di opinione, quelle correnti guardate da alcuni con sospetto ma che a mio parere mantenevano alto il dibattito e lo aprivano alle problematiche del paese.
Nel gruppo di amici bresciani che si richiamavano alla rivista Stato Democratico e al gruppo della Base milanese di Granelli e Marcora, Pietro Padula aveva un posizione significativa, Un forte legame di amicizia e non solo una visione politica condivisa lo univa a Luigi Bazoli, Gianni Perfumi, Vittorio Sora, Ciso Gitti, Innocenzo Gorlani, Riccardo Marchioro .
Un rapporto elitario con Martinazzoli disegnava la fisionomia del gruppo che andò via via acquistando sempre più evidenza politica e assunzione di responsabilità. Luogo di elezione per dibattiti e confronti è stata Casa Sora a Quinzano d’Oglio, Quel focolare ha espletato egregiamente la sua funzione scaldando anime e cuori e ha conosciuto altri amici come Felice Calcaterra e il carissimo Virginio Rognoni, un po’ bresciano per parte di moglie.
Non posso tacere tra i vari meriti che si attribuiscono a Pietro Padula sindaco c’è quello di aver tenacemente voluto la metropolitana, opera pubblica di cui tutti i bresciani vanno giustamente orgogliosi e che ha dato alla città una impronta europea.