popo Centro Studi Marcora —La Base DC
Vicende e personaggi di una storia di impegno politico e sociale

LA BASE. NASCITA E SVILUPPO

Tratto dal libro "La base nel milanese" di Gianni Mainini.

1.1. Così nasce la Base

Da un articolo a firma Carlo Colombo su Paese, Rassegna mensile di Ticinia, ripreso poi nel secondo volume del libro “Storia del mio paese” del medesimo autore, la testimonianza diretta di come nacque la Base.

Il 27 settembre 1953, con alcuni amici inverunesi guidati da Emilio Robbiati, andiamo a Belgirate. È uno stupendo paesino sul Lago Maggiore ed arriviamo a Villa Carlotta dove è fissato un incontro fra i protagonisti di una nuova rivoluzionaria corrente della Democrazia cristiana. Ci sono, fra le persone conosciute, l’immancabile Silvestro Belloli, il Sindaco di Arluno Rampini, Peppino Brazzelli. Organizzatore della riunione, che accoglie circa 50 partecipanti, è Albertino Marcora. Il paesaggio, all’inizio dell’autunno, è incantevole. Il colore del cielo si riflette nelle acque del lago; la vegetazione, il clima, i profili degli abitati, le isolette, i promontori, le splendide ville ci affascinano come i nomi e i luoghi di fiaba sulle celebri sponde del Lago Maggiore. Non siamo venuti solo per questo. Nell’ampio salone di Villa Carlotta, dove mi pare di riconoscere il giornalista la RAI Nuccio Fava, prende per primo la parola Don Federico Mercalli.

“Siamo qui perché dietro queste montagne c’erano i nostri partigiani; sette medaglie d’oro, venti d’argento. Referenze, valori che non possono venir dispersi... la libertà conquistata con il sangue ed il sacrificio dei nostri partigiani martiri devono servire per costruire il paese nuovo e una democrazia vera, che viene dal popolo, nel rispetto della giustizia e della legalità; occorrerà ancora unità d’intenti, impegno ed altruismo, ma si prospetta un più sereno futuro di pace e di ricostruzione”. Poi parla “Albertino”: “... vaneggia chi pensa di opporre a questa DC un altro partito cattolico e dei cattolici. La gente non capirebbe, è un fiasco in partenza. Il nostro partito va cambiato dall’interno. Bisogna farlo evolvere da posizioni in sostanza conservatrici ad altre più avanzate, perché dobbiamo recuperare al governo del paese le forze popolari più autentiche... Il mondo cambia, va avanti, non si vive di splendide memorie, di credito... Formiamo una corrente nuova nel Partito... Propongo che si chiami La Base perché richiama subito il popolo”. La corrente democristiana di Base nasce dunque nel convegno di Villa Carlotta a Belgirate (NO), per iniziativa di Giovanni (“Albertino”) Marcora. La corrente, che diverrà negli anni successivi una delle componenti essenziali della sinistra democristiana, gode dell’appoggio del presidente dell’ENI Enrico Mattei. Nello stesso periodo Giulio Pastore organizza la corrente dei sindacalisti, che assume il nome di Forze sociali. La Democrazia cristiana riceve i primi scossoni per un cambiamento di orientamento.


1.2 Identità della Base

Come documento iniziale di questa pubblicazione, non poteva mancare una “definizione” identitaria della Base. Poiché ce ne sono già tante, ho pensato fosse più interessante fotografare la Base attraverso le testimonianze e i commenti (finora inediti) di amici, come Bassetti, Rognoni, Mattesini, Dittrich, Mauri, Mainini, Bodini, Caputo registrati in occasione della presentazione il 5 maggio 2012 all’Ambrosianeum di Milano del libro di Chiara Mattesini “La Base, un laboratorio di idee per la Democrazia Cristiana”. La serata è stata introdotta da Marco Garzonio.

PIERO BASSETTI

Il testo dell’autrice è contenuto e focalizzato all’essenziale: la prima fase della Base (dal 1953 al 1958) mentre è stata già ampiamente dibattuta in molte pubblicazioni la seconda fase, della Base al potere. Dall’analisi emerge la premessa da cui è partita questa esperienza, l’importanza che ha avuto l’idea di ricominciare a pensare non nel privato, ma nel contesto di fatti organizzativi associativi, l’importanza della elaborazione culturale. Dopo lo scossone del ‘53 e la fine di un equilibrio politico (quello del centrismo nda), un gruppo si raccoglie per pensare. Un incontro che premia le fatiche del pensare di personaggi come Granelli, Galloni, Dorigo e Capuani.

La Base aveva riaperto una fase di ricerca del pensiero dopo la Resistenza: allora attraverso strumenti da tutti conosciuti, giornali e pubblicazioni come, “La Base”, “Prospettive”, “Stato Democratico”, “Politica”.

Un problema totalmente aperto anche oggi per la scissione nei rapporti tra volontà politica e la sua raccolta nelle forme di aggregazione politica. Ci sono due estremi: l’aggregazione attorno alla protesta e l’aggregazione attorno alle Istituzioni (liste civiche, ovvero il primato delle istituzioni come aggregante).

Se oggi volessimo rifare la Base, cosa faremmo dal punto di vista della comunicazione: probabilmente dovremmo andare sulla rete. Sui blog, dove si possono raccontare fatti, fare e raccogliere commenti, intrecciare dialoghi. In realtà nessuno raccoglie il pensiero: è tutto un’esasperazione, uno sfottò, una critica. Che non producono però l’effetto degli articoli di Granelli, Galloni, Pistelli.

La Base ha avuto l’abitudine di guardare la politica non in vista del potere ma dell’analisi, della riflessione, della costruzione, del confronto: oggi vige la politica dell’urlo. Quale differenza tra i media allora e attuali! Dov’è quindi la politica, quella vera. O non c’è più o è subalterna. Oggi si parla di mercato come componente per osservare il comportamento della società, la gente presa nel momento del consumo invece che nella volontà e nel pensiero. La volontà popolare attraverso quale canale aggregativo si forma? Urlo, protesta, critica... Anche nel PD non si vede più uno sforzo per trovare le ragioni di una linea politica, l’analisi delle scelte, se mai una riflessione su posizionamenti tattici, destra e sinistra, di un sistema che è in crisi.

In altre parole, se non sappiamo cos’è la politica leghista o dei Cinque stelle, poco sappiamo delle politiche del PD: e il laboratorio di idee? Una nuova Base? Si può fare politica senza idee? (Marcora avrebbe detto “non si può fare politica senza ideali” nda): sono convinto di no. Le idee sono l’essenza della comunicazione politica, commistione di interessi e di valori. I laboratori di idee dove sono oggi?

Ho vissuto l’esperienza arancione: l’opinione si formava nelle assemblee spontanee o organizzate, ma quello che la maggioranza conosceva ed esprimeva il lunedì era in contraddizione con quello che esprimeva il mercoledì: la contingenza del discorso. Bisogna assolutamente uscire da questi limiti. Un’altra contingenza è quella delle liste civiche: non la riflessione della dimensione politica, dell’analisi storica ma la raccolta attorno alla teoria della gestione.

I social network forniranno gli strumenti per allargare il dibattito, ma le idee chi le mette? Anche i grandi quotidiani non forniscono un elemento ordinatore del pensiero politico: come usciamo da questa situazione difficile? Se il libro aiuterà a richiamare l’interesse e i modi della riflessione politica, anche in presenza di una struttura istituzionale modificata (oltre il paese, l’Europa con tutti i suo aspetti tecnici, burocratici e politici) verso il ritorno al laboratorio di idee, sarà un passo avanti auspicabile e necessario.

VIRGINIO ROGNONI

Il libro di Mattesini è importante perché coglie le cifre di quello che è il problema politico e ci permette di fare qualche riflessione sul ceto politico. Che oggi ha la volontà di esserci; quello di allora aveva la volontà di fare; gli uomini di allora riuscivano ad essere più forti perché venivano da una trage- dia come la seconda guerra mondiale e l’esperienza della Resistenza. Il pensiero di Dossetti, sicuro ascendente della Base, aveva come riferimento la tragedia ed il ripudio della guerra, principi che sono anche nella Costituzione.

La Resistenza ha provocato una classe di giovani pronti alla politica. Uomini che nella Resistenza hanno cominciato a fare i conti con la politica pur non riferendosi al medesimo gruppo e anche in partenza provenienti da esperienze diverse: Capuani, Marcora, Granelli, Galloni, Marchetti.

Belgirate ha offerto la possibilità di uscire da una situazione difficile: nel ‘53 fu bocciata la legge truffa, la DC rischiava l’isolamento, De Gasperi sentiva l’angustia di una maggioranza ristretta: di qui la sua proposta di uscire dal centrismo. A seguito di risposte negative il paese va in difficoltà: ci sono rigurgiti fascisti. Di qui la volontà di alcuni laici di uscire allo scoperto, di cercare uno strumento, La Base, per divulgare un’offerta politica.

I valori sono quelli della laicità. Alla Base era ben presente che la politica del Paese aveva a che fare con i comunisti, ma c’era anche una questione coi cattolici. I cattolici non avevano una grande dimestichezza con la democrazia: dal 1870 al fascismo i cattolici erano politicamente minoritari. Per Scoppola, non c’è mai stato un momento in cui il Paese si è laicizzato come quando è stato presieduto dalla DC.

Dossetti ritiene che il 18 aprile (la vittoria della DC alle elezioni del 1948 nda) sia come la conquista della società cristiana (echi di Maritain) mentre De Gasperi più laicamente pensava che non si poteva governare da soli. La Base se fosse nata nel ‘48 sarebbe stata più degasperiana che dossettiana.

La Base compì una sorta di percorso inverso, a ritroso, da Dossetti a De Gasperi ai popolari di Sturzo a rivendicare la forma partito come indispensabile per la Democrazia. Il partito deve stare in mani serie (evocato nella nostra costituzione all’art 49): il partito è uno strumento di rilevanza costituzionale perché permette al cittadino di fare politica. Nella Base c’era il senso della coscienza storica del nostro Paese e la consapevolezza della cornice sovranazionale: la storia di questo Paese era dentro la storia d’Europa. Granelli e Marcora non sono federalisti da meno di Spinelli, Rossi e Colorni. La laicità della politica riguarda anche le scelte fondamentali: la democrazia è in contraddizione coi cosiddetti valori non negoziabili: questi in tanto possono essere tradotti in politica in quanto calati nella realtà, non riferiti ai valori assoluti. Qui la Base si avvicina e si confonde con Moro.

La Base si preoccupa dell’ampliamento dell’arco costituzionale: è la corren- te più laica e più attenta alle questioni economiche (sulle indicazioni del piano Vanoni per lo sviluppo dell’economia dell’occupazione scommette molto). Un’altra costante della azione politica della Base è l’apertura continua alle altre forze politiche.

Cosa rimane: rimane tutto questo, la concezione del partito come strumento, come luogo dei cittadini. La rete e i mezzi di comunicazione odierni non sono alternativi, da soli non fanno comunità, anche se nessuno può pensare che oggi i partiti possano essere come quelli di una volta. L’ampliamento della conoscenza serve. C’è sempre la necessità di partiti che abbiano coscienza storica, cultura: le stesse liste civiche hanno bisogno del riferimento del partito. Occorre ritornare alla politica fondata sulla cultura senza la quale c’è la mediocrità del comportamento. Ma per uscire dalla mediocrità occorre legare la cultura all’azione.

CHIARA MATTESINI

Questi giovani della Base mi hanno affascinato (nel ‘53 avevano vent’anni). Si propongono subito come classe dirigente e assumono ruoli importanti nel partito e poi nel Paese, con una ricerca ideologica sulla funzionalità del partito. Una classe dirigente inquieta che voleva agire ed essere coscienza storica e culturale in un Paese in sviluppo. In una prima fase non è ancora corrente ma laboratorio di idee. Sono stati prodotti molti testi, molti documenti, molte proposte e idee: la Base, Prospettive, Stato Democratico, Politica, Radar. Strumenti per veicolare idee e creare consensi.

La Base ha portato avanti un progetto attuabile, è stata una corrente moderna (Pistelli: “i cattolici non devono essere a rimorchio della storia ma devono essere corrente culturale”) anche in termini di partito. Propone una versione non limitatamente liberale della DC e del Paese. La Dc come partito democratico e di massa. Da questo punto di vista, le elezioni del 18 aprile ‘48 non hanno giovato alla DC, che ha assorbito tanti voti non democratici e non cristiani.

Corrente moderna che si inserisce negli anni del boom economico: dove un gruppo di persone ha cercato di seminare delle idee, di cui si sente la mancanza: il partito è lo strumento principale, malato magari, ma lo rimane sempre.

La Base, è stato accennato, è stata molto affine alle posizioni di Moro. Granelli nel ‘90 in una commemorazione di Moro diceva che la DC non poteva essere un partito di sinistra, ma tocca alla sinistra del partito indicare una via coraggiosa di ripresa della DC.

In occasione della fuoriuscita di Lidia Menapace nel ‘68 dalla DC, Granelli diceva: “Io giuro sulla DC; fino a quando resteremo nella DC difendo la sua funzione. Abbiamo il dovere di contribuire allo sviluppo della democrazia in politica; solo se un giorno verrà meno la sua funzione storica (e qui sovvengono le parole di addio di Granelli al congresso del PPI di Rimini nel 1999 nda) allora... Quando si ha una opinione differente si fonda un partito nuovo: il dilemma esiste ma io scelgo di restare per cambiare le cose”. Ecco come il partito rimane lo strumento principe per fare politica.

VINCENZO DITTRICH

Il libro si ferma al ‘58 ma di fatto traguarda fino alla morte di Marcora: da allora è iniziato il declino della Base. Se vogliamo prendere lo spunto per l’avvenire non è più tanto interessante la storiografia delle origini (riproporre delle cose che noi conosciamo) ma è più importante capire le ragioni di quello che è accaduto fino alla caduta della DC. Avevamo uomini alla guida del partito e del governo: per quali ragioni il partito è crollato, non ha avuto uno sforzo di difesa e di resistenza?

Errori di comprensione di quello che stava accadendo: la caduta del muro di Berlino, l’egemonia del pensiero marxista, la deriva statalista, la fallimentare politica meridionalistica. È crollato il comunismo, è crollata la DC. Coniugare uno spirito di egemonia marxista con lo spirito di civiltà democratica: questa attività di mediazione ha caratterizzato l’attività della Base. Ma la Base ha avuto anche delle responsabilità (nel crollo della DC).

MARIO MAURI

Ho insistito per la presentazione milanese del libro. Tante cose partono da questa città e si trasferiscono a Roma e da Roma ripartono modificate. È una specie di legge fisica: un raggio di luce che viene reso modificato dal prisma romano. Il fascismo, il governo Facta, il centro sinistra, il berlusconismo e adesso i movimenti arancioni e simili sono nati qui con un intento ma sono ritornati con altri contenuti (eterogenesi dei fini nda). Sarebbe interessante riscrivere la storia del Paese tenendo conto di questa rifrazione.

Accanto a tanti scritti, congressi, mozioni, dichiarazioni, ci sono state emo- zioni, delusioni, entusiasmi, incertezze umane... Saranno mai raccontate? Una precisazione su come è nata la vulgata di Dossetti integralista. Ad un congresso di Venezia, Piccioni chiese ai delegati dossettiani: voi cosa proponete, cosa volete? Essi ricordarono i contenuti del libro “Umanesimo Integrale” di Maritain, di cui Dosetti aveva fatto dono a Togliatti. I giornalisti presenti, che non conoscevano il libro e non avevano capito il titolo, tradussero per i loro giornali parlando di Cristianesimo Integrale. Da cui lo slogan facile di Dossetti integralista.

GIANNI MAININI

A proposito di intelligenza politica, ricordo che Marcora diceva spesso che “per essere basista bisogna essere intelligente”. Non certo per un vanto o presunzione di superiorità, ma perché solo chi lavorava sulle idee era dotato di spirito critico, approfondiva le scelte, era disposto ad essere minoranza poteva aderire alla Base. Altrimenti c’erano altre correnti più veloci per la carriera.

Ma cosa ha tenuto insieme la Base, cosa ha fatto la forza della corrente, cosa ha permesso a questa somma di tribù sparse (da Milano, a Firenze, a Venezia a Roma...) di stare insieme? La capacità organizzativa di Marcora che ha saputo coltivare e guidare intelligenze così lucide e diverse ad uno scopo unitario. La sua è stata la capacità di organizzare le idee.

ARTURO BODINI

I Partiti devono contribuire ad un progetto politico, avendo alla base una cultura politica. Oggi della cultura politica non c’è più traccia. Occorre ancora una politica progettuale. Le definizioni tradizionali: “destra” e “sinistra” hanno perso il significato, dobbiamo produrre un nuovo disegno per il Paese e per l’Europa. Ci manca.

A questo proposito ricordo le dimissioni di Granelli dal PPI: a causa dell’assordante silenzio dei dirigenti nazionali e locali che non hanno raccolto le sue provocazioni sull’insussistenza attuale del partito.

FILIPPO CAPUTO

Oggi i partirti parlano tanto di riformismo: ma questo termine ha bisogno di essere riempito di contenuto. Questo è il compito della politica. Bisogna ricreare un nuovo equilibrio tra le generazioni per evitare il cannibalismo tra generazioni. Se i cattolici hanno ancora qualcosa di dire lo fac- ciano in fretta, altrimenti sarà troppo tardi perché avranno rinunciato a svolgere un compito storico.


1.3 Adesione alla Base

di Mariapia Garavaglia

Se non avessi conosciuto Nino Venegoni, Bruno Bossi, Gianangelo Mauri, Gianmario Taveggia, Luigi Cameroni, Rosanna Alafrangia, ora non starei redigendo queste righe di memoria, gratitudine e rinnovato impegno.

Cuggiono, un paesotto del Castanese, nordovest della Lombardia separato da Novara dal fiume Ticino, e Inveruno, il paese natale di Giovanni Marcora, erano il cuore dei “Basisti” milanesi. Ricordo i dati geografici perché, tra le lungimiranti iniziative politiche, si era prefigurato di fondere i paesi del Parco del Ticino del comprensorio castanese in una città, Ticinia. Sogno infranto dalle amministrazioni campanilistiche, che hanno perso l’occasione di efficientare servizi con risparmi da dedicare per innovare e sviluppare il territorio.

La storia della corrente di Base è la grande cornice politica di come i Basisti hanno interpretato il loro servire le istituzioni democratiche, dopo che molti di loro hanno fatto la lotta partigiana.

La gran parte dei ‘Basisti’era impegnata nelle amministrazioni comunali, perché questa era quasi un segno distintivo: la democraticità delle istituzioni. Eravamo una corrente di sinistra, che studiava e sperimentava negli enti locali quelle alleanze in forza di programmi che consolidassero il sistema pluralista del Paese. Anche da Ministro, Marcora ha voluto essere Sindaco del suo comune, Inveruno.

Eravamo anche considerati un po’ snob (Vincenzo Bianchi di Lavagna, conte, Piero Bassetti illuminato imprenditore, Virginio Rognoni, professore universitario, ecc.) rispetto alla corrente ‘Forze Nuove’ di Donat Cattin, più concentrata sui risvolti sociali e lavoristi: molti cislini e aclisti si riconoscevano in quell’area, perché desiderosi di primeggiare in proposte e scelte. Ad esempio da Inveruno e dal nostro territorio è partita l’operazione “austerità” per il risparmio energetico nel 1974: abbiamo incominciato noi a spegnere i lampioni e a non usare le auto.

Personalmente devo ammettere che se non avessi conosciuto la Base forse non sarei mai diventata una militante democristiana.

Bruno Bossi era stato a Mauthausen, Gianangelo Mauri, Pinetto Spezia ed altri erano stati Partigiani. Lo spirito della Resistenza li univa, ma mai li ho sentiti parlare in modo trionfalistico o con l’animo da reduci. Avevano fatto, a suo tempo, il loro dovere ed ora erano protesi al futuro. Anche coltivando giovani come me ed altri.

Erano caratterizzati da una sana laicità, cattolici impegnati in politica con il viatico di grandi sacerdoti educatori, don Giuseppe Albeni, il prete dell’oratorio di Cuggiono e don Federico Mercalli. Anche di questa lezione ho beneficato nella mia carriera politica.

Marcora ha avuto fiducia nelle donne: solo la Base di Milano ha creato una cordata al femminile, Marialuisa Cassanmagnago, Maria Paola Svevo, Mariapia Garavaglia, Patrizia Toia, Emanuela Baio... eravamo invidiate a Roma. Marcora non metteva in lista una donna – vigeva il sistema proporzionale con preferenze – come riempitivo delle liste, ma perchè fossero elette e si impegnava direttamente nelle campagne elettorali nel sostenerle.

La sua ‘protezione’ era così esplicita che ne ricavavo prestigio senza alcun merito: anche ora, dopo molti anni dalla scomparsa di Marcora, mi sento accolta e apprezzata per essere stata in quel vivaio.

Ho anche imitato il suo rigore nei comportamenti pubblici e privati e sento di essere stata fedele ai mandati avuti in politica, ai vari livelli, perchè ho incontrato la Base e i suoi fondatori: con Marcora, Luigi Granelli, Giovanni Galloni e tutti gli altri nazionali, che ho conosciuto ai Congressi del Partito, e di cui ebbi anche la ventura di diventare ‘collega’: De Mita, Misasi, Martinazzoli... una squadra che ha onorato il Paese e la Politica.


La Base è nata come corrente a Belgirate nel 1953 ed è subito stata “avamposto di politiche di sinistra” ma in realtà a farne le prime fortune fu assieme alla modernità delle sue idee la modernità della sua comunicazione.

I suoi giornali (La Base, Prospettive, Stato Democratico) diventati subito famosi, criticati, controversi, chiusi e riaperti sono stati il veicolo di una comunicazione snella, efficace, dal grande impatto sociale e pubblicitario.

Testimonianza di una audacia notevole con atteggiamento critico non deferenziale verso le strutture del partito, che suscitò tante adesioni e tante speranze: una voce limpida, cristallina, dirompente, intelligente, certamente scomoda, nello stagno della DC postdegasperiana. La comunicazione cardine della azione politica della corrente.

Se infatti il grande sviluppo della Base prende inizio con l’uso appropriato di questi strumenti, (arricchiti dall’indirizzario dei membri di Iniziativa Democratica recati da Giovanni Galloni), non c’è dubbio che analogamente la parabola della corrente si estingue quando oltre che per la scomparsa di alcuni suoi leader viene meno l’afflato comunicativo (l’ultimo numero di Iniziative della Base è dal 1994).

Se La Base segnò il debutto in politica, con la pubblicazione del documento fondativo di Belgirate, l’altro quindicinale, Prospettive pose sul tavolo il problema socio-politico-culturale dell’apertura a sinistra, mentre Stato Democratico tracciò le coordinate per il passaggio dalla teoria alla pratica (e non possiamo sottacere di un altro grande riferimento, anche se non milanese, quello di Politica, a Firenze, di Nicola Pistelli).

“Certo gli stessi promotori non avrebbero immaginato che la testata del loro giornale avrebbe connotato quella che sarebbe rimasta, benché composta da elementi abbastanza giovani, la più antica delle correnti democristiane e non avrebbero potuto considerare i loro scritti come dei testi sacri per una intera generazione politica, non soltanto cattolica, come invece è avvenuto” (da “Antologia della Base” di Luca Merli).

Anche quando l’esperienza delle dirompenti e purtroppo brevi novità rappresentate dai tre periodici citati (La Base, edita per un breve periodo dall’ottobre 1953 al luglio 1954, Prospettive dal dicembre 1954 al settembre 1955, Stato Democratico dall’ottobre 1957 al giugno 1964) si chiude, la comunicazione continua sugli organi nazionali e locali (Il Popolo e Il Popolo Lombardo) con una attenzione maggiore agli equilibri generali, in quanto a livello nazionale la Base entra in Direzione ed a livello milanese Marcora diventa segretario provinciale già dal 1958.

Viene creata fin dal 1959 una agilissima agenzia di informazione, Radar, curata magistralmente da Giovanni Di Capua e presto diventata punto di riferimento per le notizie politiche a cui si presta attenzione e stima dentro e fuori il partito.

Soprattutto la comunicazione viene ravvivata dai numerosi convegni in località tipiche frequentate sia dalla corrente che dal partito, che successivamente da tutta l’area di sinistra e area Zac (da Perugia a Chianciano a San Pellegrino, da Sirmione a Desenzano e San Felice del Benaco, dalle Pianazze ad Assago) cui segue la pubblicazione degli atti relativi nei “Quaderni della Base”. Certamente la fidelizzazione del popolo basista con una informazione puntuale è stato uno degli elementi portanti del successo della Base.

A livello milanese anche dopo la morte di Marcora, la continuità della corrente è garantita da Granelli e Calcaterra. Si mutuano gli stessi strumenti, ma con minore visibilità e minor impatto, anche a causa dei tempi cambiati e della limitatezza delle risorse. Granelli poi dirigerà dal 1972 il mensile Il Domani d’Italia, che rinnova la battaglia ideale progressista di Francesco Luigi Ferrari all’interno del PPI prima dell’avvento del fascismo (e alla cui figura ed azione si ispirerà la costituzione dei Popolari Intransigenti).

Questa attitudine a discutere e ad elaborare un pensiero collettivo e partecipato continua comunque con la periodicità quasi quindicinale nella sede di via Mercato, dove avvengono veri e propri convegni con argomenti di discussione preannunciati e successiva documentazione monografica.

In questa logica, dal 1987 viene edito da via Mercato il periodico Iniziativa della Base. Nel numero del gennaio ‘91, Granelli propone una riorganizzazione totale per dare maggiore impulso unitario all’attività politico organizzativa della sinistra di Base, ipotizzando una Assemblea, una Direzione ed un Esecutivo che lavori sui settori focali (dall’amministrazione alle relazione con ambienti cattolici, contatti con le forze sociali-economiche, organizzazione convegni, agenzie e pubblicazioni…) e soprattutto dei responsabili di zona. Sono gli ultimi tentativi di rivitalizzare il gruppo, in difficoltà per le condizioni generali della DC all’approssimarsi di Mani Pulite, il referendum sulla preferenza unica, la imminente spaccatura del partito.

Di fatto, Iniziativa della Base, fortemente voluto oltre che da Granelli da Vincenzo Bianchi di Lavagna ed Enrico Farinone, chiuderà nel 1994 contemporaneamente all’abbandono di Via Mercato. Con ciò termina la quarantennale esperienza della Base (e non solo nel milanese e in Lombardia) in contemporanea con la chiusura della DC e la nascita del PPI. Ma la necessità confrontarsi col popolo basista continuerà ancora, con Milano Metropoli di Vincenzo Bianchi e con le monografie dei Popolari Intransigenti di Luigi Granelli (del ‘94 al ‘99) a testimoniare la forza e il radicamento di un gruppo che sopravvive a se stesso.


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