undefined

NOI POPOLARI Appunti per una storia del secondo PPI lombardo (1994-2002)

Di Giuseppe Bonelli (Libera riduzione a cura di Gianni Mainini , dicembre 2021)

Il libro è un excursus analitico e appassionato sulle vicende del PPI ,soprattutto lombardo, dalla
costituzione fino alla fusione nella Margherita ,visti da un “neofita” (solo all’inizio tale) con tanto acume e
dovizia di particolari, vissuti molti in prima persona.
Nella sua illuminante prefazione Pierluigi Castagnetti inquadra bene il contenuto del libro, che racconta
situazioni in parte inedite, ma soprattutto analizza dall’interno quegli anni. La storia del PPI milanese e
lombardo si inserisce nel più ampio discorso nazionale.
“Comprendemmo immediatamente la necessità di un “ricominciamento” come lo chiamava Martinazzoli
sia del progetto politico che della classe dirigente, partendo da Milano e dalla Lombardia, ben sapendo che
avremmo dovuto estenderlo a livello nazionale” rimanendo ancorati alla grandezza dell’antifascismo
cattolico.
Ma quando dopo i risultati non esaltanti dei pochi anni di vita del PPI decidemmo per un avanzamento,
parte della classe dirigente milanese e lombarda manifestarono riserve sull’idea di dar vita ad un nuovo
soggetto “Margherita, Democrazia è Libertà” che metteva fine alla tradizione del cattolicesimo
democratico.
C’era la sensazione che un partito fatto dalla storia (Guido Bodrato) sarebbe finito il giorno in cui il suo
patrimonio fosse diventato patrimonio comune del paese. I temi della libertà, della centralità della persona
(personalismo cristiano di Maritain), dell’economia sociale di mercato (Vanoni, Fanfani) e non ultimo il
valore dell’Europa (proveniente addirittura da Sturzo e poi De Gasperi) sembravano oramai diventati
patrimonio comune delle forze costituzionali, e quindi del paese.
Per di più non avevamo promosso una analisi seria del “fenomeno Lega” al centro dell’attenzione di un
dirigente acuto come Riccardo Misasi, non per niente figlioccio di Giovanni Marcora; Marcora che già agli
inizi degli anni ’80 aveva ripetutamente incontrato Miglio sentenziando che in mezzo a tante cose
strampalate c’erano un paio di buone idee su cui che bisognava riflettere (in particolare il federalismo).
In più anche la Chiesa ossessionata dall’anticomunismo non si era accorta del ben più vitale e pericoloso
nemico, l’ideologia capitalistico -liberistica e laicista.
Ora dobbiamo rivedere la nostra presenza politica: come avviene normalmente in tutti gli altri paesi, in cui
non c’è una politica cattolica, ma valori che sono portati avanti in tutti gli ambienti, dalla scuola alla sanità,
dalla vita associativa a quella delle professioni, dal mondo del lavoro e dell’impresa, a quello della politica
appunto.
Fin qui la prefazione.
Invece quello di Bonelli è il racconto in prima persona di un protagonista importante di quelle vicende, che
in parte ha vissuto e in parte ha contribuito a determinare, sia a livello nazionale e soprattutto a livello
Lombardo, essendo stato esponente di punta dell’Azione Cattolica, Responsabile Scuola provinciale e
membro del Comitato Regionale Lombardo e per cinque anni a Roma collaboratore ministeriale di Gianni
Manzini, sottosegretario all’Istruzione nel governo Amato.

Noi Popolari è una narrazione puntuale, documentata. Interessante –anche per i non addetti ai lavori- e
vorrei dire avvincente che percorre tutta la cronaca (ormai quasi storia) della chiusura dell’esperienza della
Democrazia Cristiana e della nascita del Partito Popolare, poi Margherita, fino al PD.
Testo pregevole nelle intenzioni e nei contenuti che nasce dalla convinzione che la breve storia del Partito
Popolare sia stata liquidata troppo rapidamente.
“Eravamo per la gran parte gli eredi della Democrazia Cristiana, ma ne avevamo ereditato solo i debiti,
anche dal punto di vista giudiziario, e non le fortune, pertanto la nostra fu una storia di continui traslochi e
pignoramenti di soluzioni di fortuna di generosità personale e di volontariato di molti”.
L’analisi e la critica non è una voglia di protagonismo: il titolo infatti è più significativo di ogni
considerazione. NOI POPOLARI (tra l’altro è anche il titolo del periodico edito a suo tempo dal Gruppo
consiliare Popolare in Regione) riconduce il discorso ad una coralità e ad una esperienza plurale, vissuta in
uno spirito di servizio e con gli occhi di un giovane che si avvicina e si dedica con entusiasmo alla politica,
rilevandone poi i limiti e le contraddizioni. E’ una coralità soprattutto lombarda ,in cui affiorano i
personaggi che hanno fatto quella storia: Arrigoni Fabio, Baio Emanuela, Bianchi Giovanni, Bodrato Guido ,
Bonfanti Battista, Buizza Dante, Giorgio Calvello, Cassanmagnago Luisa, Colombo Svevo Maria Paola, Del
Santo Gianni, Del Bono Emilio, Paolo Danuvola ,Duilio Lino, Farinone Enrico , Formigoni Roberto , Gaiani
Lorenzo, Galbiati Domenico, Galperti Guido , Gitti Tarcisio, Granelli Adriana, Granelli Luigi, Guerini
Lorenzo, Locatelli Gianni ,Mainini Gianni ,Masi Diego, Martinazzoli Mino ,Mattioli Alberto, Mazzucconi
Daniela, Monaco Franco, Orsenigo Mariuccio, Ortolina Vincenzo, Pianta Loredana, Ruggero Ruggeri,
Rusconi Antonio, Tabacci Bruno, Tamberi Livio, Toia Patrizia, Villa Giovanni ..
Anch’io ho vissuto in parte in prima persona molto di quei passaggi, che vi garantisco raccontati con
precisione e capacità di analisi e interpretazione. La memoria che viene ricreata risveglia la passione e
l’orgoglio di aver fatto parte di quella storia ma serve soprattutto a spronare, a continuare ad incidere sulla
cultura e realtà politica attuale, perché i valori di quella storia sono ancora importanti da trasmettere.
Il contenuto è ampio e variegato e lascio agli interessati lettori scoprirne lo svolgimento attraverso le date,
i congressi, i rapporti tra accadimenti locali e nazionali.
Quello che invece sottolineo sono le bellissime considerazioni personali su alcuni aspetti meno noti al
grande pubblico sul variegato mondo della politica, dei partiti, del governo e della varia umanità che vi gira
attorno.
Ve le consegno integrali.
“ Io mi ero presentato ai miei compagni di partito con l’arroganza (o ingenuità direi io ) di chi confida nella
bontà delle proprie idee e prescinde quindi dallo sforzo di convircene gli altri.
Compresi che un partito è un organismo vivente, nel quale convivono biografie, ambizioni, frustrazioni
anche diverse tra loro, ma tutte in qualche modo da rispettare e conoscere prima di giudicare. Il confronto
franco e talvolta aspro sulle idee ma anche sugli spazi di potere non è mai un gioco astratto e asettico, ma
passa in primo luogo dai sentimenti e dai vissuti dei partecipanti che vanno capiti e rispettati anche quando
lontanissimi dai propri. ..soprattutto pensando a quei luoghi strategici della politica italiana che sono i
ristoranti della zona del Pantheon, dove il martedì e il mercoledì si ritrovavano i deputati costretti al
pendolarismo tra il proprio territorio e la capitale. Devo confessare che quelle cene sono una sorta di
sublimazione dell’azione politica, lontane dall’ufficialità ma al tempo stesso pienamente immerse nella
strategia concreta dei partiti.

Frequentando Gianni (Manzini) e alcuni degli esponenti storici della DC che erano rimasti nei Popolari mi
resi conto che quel partito aveva aggregato un capitale umano capace di reggere e comprendere la nostra
società per tutti gli anni repubblicani con un silenzioso ma costante esempio positivo. Ebbi per la prima
volta l’esperienza dello iato esistente e presente tuttora tra la politica costruita negli ambienti parlamentari
romani e quella percepita e vissuta in periferia, tra i militanti, e nel resto del Paese.
Era come scoprire che la partita di calcio cui si sta assistendo con trasporto e partecipazione partigiana, in
realtà è in differita, e giocatori e allenatori sono già altrove, pensando alla prossima gara.
Toccai con mano l’illusione ottica che spesso si verifica durante le campagne elettorali, nelle quali si
incontrano di continuo persone disponibili a sostenere la tua proposta e alla fine ci si convince di aver in
tasca la maggioranza, mentre in realtà si intercetta solo una piccola parte dell’elettorato e quindi poi il
verdetto delle urne risulta poi completamente differente.
Mi resi conto cosa significasse comporre quelle liste, che di fatto decidevano il destino personale di
centinaia di persone, pronte a cambiare vita a seconda che ottenessero un seggio sicuro o meno. Vidi
personaggi di punta del nostro mondo politico trattati come i fanti della Prima guerra Mondiale, destinati
senza spiegazione e considerazione a sacrificarsi (e in qualche caso tocco toccò anche a me portare la ferale
notizia a qualcuno di loro, come accadeva ai sottoufficiali di collegamento tra le trincee e lo Stato
Maggiore). Compresi che la costituzione di un esecutivo non è solo un affare politico istituzionale ma è
anche l’esito di una azione di lobbying, spesso messa in moto dai medesimi aspiranti, che invitano le
proprie realtà sociali di riferimento a far pressione sul segretario politico per indirizzare la nomina. Ma
soprattutto mi fu chiaro come in questa operazione la combinazione tra una serie di parametri, quali il peso
dei singoli partiti, la spartizione tra deputati e senatori, la necessaria presenza femminile, l’esigenza di
assecondare anche l’opinione pubblica faceva sì che il merito specifico diventasse una delle tante variabili
in campo. Quando poi tutto fu compiuto, all’indomani dell’ultimo giuramento, arrivò la parte più difficile,
ovvero la necessità di dare “degna sepoltura ai caduti” con posti di sottogoverno o promesse per i prossimo
giro…secondo il principio cardine della politica democristiana secondo il quale nessuno doveva finire
annientato da una delle continue lotte di potere che si consumavano nel Palazzo, perché l’avversario di oggi
poteva diventare l’alleato di domani”.
Se qualcuno ha dei dubbi, ecco la dimostrazione che la politica è scuola di vita; mentre nello scorrere dei
capitoli del libro si ha la riprova che la storia del cattolicesimo democratico ha ancora molto da insegnare
ed è tuttora capace di aprire prospettive interessanti e attuali.
PREFAZIONE Noi Popolari Lombardi di Pierluigi Castagnetti
CAPITOLO PRIMO UNA DOPPIA NASCITA (1994-5)
La crisi della DC dentro Tangentopoli e l’idea di Mino Martinazzoli
Le elezioni del 1994 e la nascita del CCD
Il primo congresso PPI e la segreteria di Rocco Buttiglione
La divisione e la segreteria di Gerardo Bianco
L’accordo di Cannes e la nascita del CDU
L’ultima battaglia di Don Giuseppe Dossetti
CAPITOLO SECONDO LE ELEZIONI REGIONALI DEL 1995
La prima presidenza di Roberto Formigoni
La piccola pattuglia dei consiglieri regionali PPI

La segreteria regionale di Lino Duilio e l’eredità scomoda dei debiti della DC lombarda
La costruzione dell’Ulivo lombardo
Il capovolgimento di prospettiva (tra livello nazionale e lombardo e tra Regione e Province)
CAPITOLO TERZO LA VITTORIA DEL 1996
Torniamo maggioranza nazionale
Il secondo congresso nazionale
La segreteria nazionale di Franco Marini
La scuola che vogliamo
CAPITOLO QUARTO LA CRISI DEL PRIMO GOVERNO PRODI
Nasce l’Udeur
Il primo governo D’Alema
La segreteria regionale di Domenico Galbiati
Il dibattito sulla parità scolastica
CAPITOLO QUINTO LE ELEZIONI EUROPEE DEL 1999
Una nuova scissione e la nascita dell’Asinello
Il crollo del PPI svuotato da Romano Prodi
La nuova proposta di Martinazzoli
Il terzo congresso di Rimini e la segreteria di Pierluigi Castagnetti
Il ritorno dell’Ulivo
CAPITOLO SESTO LE REGIONALI DEL 2000
La candidatura di Mino Martinazzoli alla Regione
Una nuova sonora sconfitta e non solo in Lombardia
La crisi del governo D’Alema e la nascita del governo Amato
La segreteria regionale di Giovanni Bianchi
CAPITOLO SETTIMO LA NASCITA DELLA MARGHERITA
Nasce la candidatura di Francesco Rutelli alla Presidenza del Consiglio
La scelta di una lista centrista da affiancare ai Democratici di Sinistra: la Margherita
La “senatizzazione” e lo scontro con le scelte “romane”
Nella sconfitta emerge un clamoroso risultato della Margherita
Il percorso verso la fusione dei quattro petali in un nuovo soggetto politico unitario

CONCLUSIONI