Veltroni-Corriere sul caso Moro. Accuse gravi senza prove
9 Aprile 2021
Da oltre un anno il Corriere della sera riserva al caso Moro paginate su paginate con interviste che
portano la firma di Walter Veltroni. Nell’ultima della lunga serie, a Gennaro Acquaviva, capo della
segreteria politica di Craxi, ci è toccato di leggere che il leder socialista sarebbe stato “il sostituto-
prosecutore dell’opera di Moro”. Ogni commento è superfluo. Ma ciò che più sorprende è che
Veltroni, non un cronista qualsiasi, senza battere ciglio, persista nel veicolare la tesi dei socialisti
del tempo (Formica, Signorile, Martelli, Acquaviva): Moro poteva essere salvato, ma tutti, senza
eccezioni, lo volevano morto, perché tutti, si insiste, ai vertici della Dc e dello Stato sapevano che
fosse agibile un canale diretto con i terroristi che tenevano in ostaggio il leader Dc.
Non nascondo il mio disappunto non solo per il semplicismo e l’univocità della tesi, ma anche
perché nessuno ad essa reagisce come si conviene. Eppure ancora vivono alcuni testimoni e persino
attori-protagonisti di quella pagina drammatica. Davvero tutto era così chiaro e così semplice? Una
tale teoria non è infamante – faccio solo qualche nome – per Zaccagnini, Salvi, Galloni, Elia e molti
altri dirigenti Dc di quel tempo che non possono più replicare?
Personalmente non ho motivo per intestarmi difese d’ufficio. Al tempo del sequestro Moro ero
giovane e non facevo politica, ma partecipai con grande intensità emotiva a quel dramma: lavoravo
al fianco di Giuseppe Lazzati, costituente, rettore della Cattolica, sincero amico ed estimatore di
Moro, che tuttavia mai nutrì dubbi sulla linea della fermezza. Pur con una indicibile sofferenza. Ma
il punto non è questo. Si può pensarla diversamente. L’importante è non mistificare i fatti.
Voglio essere franco: mi hanno turbato e disturbato le interviste del Corriere ai socialisti che, in
forme più o meno aperte, hanno sostenuto che i vertici politici e istituzionali tutti – notare: targati
Dc – fossero a conoscenza della possibilità di raggiungere i brigatisti che tenevano in ostaggio
Moro, solo che non vollero spendersi davvero per la sua liberazione. Scusate se è accusa da poco!
Una versione della quale non c’è prova. Semmai smentita da vari testimoni.
Tantomeno ho apprezzato che a mettere la firma in calce a quella inchiesta sia non un giornalista
qualsiasi, ma una persona come Veltroni che ha avuto alte responsabilità politico-istituzionali. La
domanda suscitata in me da quelle paginate è quale mai sia l’intento di Veltroni in quella che
sembra una campagna a tesi. Davvero non mi spiego. Forse quello di prendere le distanze dal
vecchio Pci e dalla sua linea della fermezza, nel solco dell’outing veltroniano secondo il quale lui
non sarebbe mai stato comunista? Salvo poi (“ma anche”) proporsi come apologeta e “ragazzo” di
Berlinguer.
Non sarò io a negare le tante, troppe pagine oscure di quella tragedia nazionale. In particolare le
ombre rappresentate dall’inquinamento piduista del Viminale, le inefficienze e le omissioni degli
apparati di sicurezza. Anche io faccio fatica a credere che non vi siano stati condizionamenti e
interferenze esterne alle Br. Né compete a me, che non avevo responsabilità alcuna, difendere i
vertici Dc di allora – Zaccagnini e i suoi più stretti collaboratori – più o meno esplicitamente
accusati di inerzia se non di complicità. Ma trovo l’operazione grossolana, semplicistica (come se la
liberazione di Moro fosse cosa facile) e persino infamante per chi si assunse la grave responsabilità
di non scendere a patti con i terroristi. In nome di un’etica della responsabilità in capo a uomini
dello Stato che, noto, con il senno di poi e con una certa leggerezza, si tende a rappresentare come
un alibi pretestuoso e bugiardo.
A distanza di tanti anni e alla luce di ciò che è affiorato poi, si può anche rivedere qualche giudizio,
si deve di sicuro sostenere che non lo Stato come tale, ma quel concreto Stato e chi lo rappresentava
pro tempore, rivelatisi così inadeguati, per trasparenza ed efficacia, non furono all’altezza del loro
compito e anche a pensare che forse l’esito avrebbe potuto essere diverso (anche se molti elementi
conducono a ritenere che quello intessuto dai rapitori fosse un finto negoziato e che dunque il
tragico epilogo fosse scritto). Ma da qui a concludere che tutti sapevano e tutti non vollero liberare
Moro ne corre.
Guido Bodrato, persona limpida e allora stretto collaboratore di Zaccagnini, ha chiarito sul punto
cruciale: del canale aperto con i rapitori rappresentato da Piperno e Pace non è vero che i vertici Dc
fossero a conoscenza. Comunque non Zaccagnini e i suoi collaboratori. Lo erano esponenti
socialisti che oggi lo rivendicano come un merito e si spingono sino a imputare ad altri la colpa di
non essersene avvalsi. Per parte mia, all’opposto, non giudico affatto come un merito l’avere
intrattenuto relazioni tanto pericolose con soggetti immersi nell’acquario torbido nel quale
nuotavano i pesci del terrorismo. Costoro avrebbero dovuto cooperare allora, con trasparenza e
senza secondi fini, con le autorità per stanare i rapitori e non muovere ora ad altri accuse tanto
infamanti quanto indimostrate.
Tali comportamenti al limite della provocazione semmai mi confermano in una convinzione: che, a
fronte di chi – ve ne furono allora e ve ne sono oggi – sosteneva con limpida coscienza la linea della
trattativa (salvo una massima indeterminatezza circa le concrete concessioni cui accedere), vi
fossero altri che erano mossi da ragioni politiche non altrettanto innocenti. Diciamo non di natura
umanitaria. Per parte mia, non ho cambiato idea (ma, ripeto, si può avere opinione diversa): penso
che, allora, in concreto, non si dessero alternative alla linea della fermezza e che un cedimento
avrebbe travolto le istituzioni. Oltre che le due forze, Dc e Pci, architrave del sistema politico. Per
essere più schietto: le pesanti accuse e il polverone sollevato a tanta distanza di tempo dai vari
Formica e Signorile semmai mi confermano nell’opinione che al conclamato umanitarismo nel Psi,
dentro quella distretta, si associasse un calcolo politico mirato a profittarne per mettere in scacco i
due principali partiti schierati sulla linea della fermezza. In coerenza con la strategia craxiana decisa
a farsi largo con ogni mezzo tra Dc e Pci, rovesciando i rapporti di forza a sinistra. La circostanza
che siano trascorsi tanti anni non è una buona ragione perché ex politici e improvvisati giornalisti –
e chi malamente fa entrambe le parti in commedia – trattino una materia così incandescente con tale
disinvoltura.
Franco Monaco
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